Internet Festival, quale forma al futuro del lavoro digitale?

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Internet Festival, quale forma al futuro del lavoro digitale?

Internet Festival ritorna dal 5 all’8 ottobre 2017 a Pisa con la nuova edizione. L’appuntamento annuale con i temi dell’innovazione digitale e della Rete ha come cornice di significato dell’iniziativa le “forme di futuro”. La parola chiave è il #sentiment.

Un sentiment però che per qualcuno è negativo prima della partenza. Soprattutto per chi ha notato l’ennesima forma di lavoro precario, non riconosciuto e sottopagato verso i lavoratori del web.

Il nodo della polemica è la (quasi) mancata retribuzione dei volontari dell’Internet Festival.

Come si legge nella pagina dell’annuncio, i volontari selezionati avranno un rimborso per prestazione occasionale di 250 euro lorde, circa 4 euro l’ora lorde per i 4/5 giorni di lavoro (se includiamo il giorno precedente alla manifestazione con un orario che va dalle ore 9-10 alle ore 24).

I profili professionali richiesti sono:

  • Ufficio stampa
  • Back office eventi
  • Info point
  • Accoglienza visitatori nelle location e assistenza transfer
  • Social Media Editor & Blogger
  • Multimedia Editor (Photographer o Videomaker)

Dal punto di vista retributivo fanno sicuramente compagnia ai fattorini della gig economy. O forse, anche peggio.

Il ragionamento tuttavia va fatto in maniera più ampia.

Uno dei principi su cui – malamente – si fa leva quando parliamo di professioni digitali, soprattutto per chi si affaccia per la prima volta verso questo mondo è “posta, twitta, pubblica foto che noi ti ripaghiamo con la visibilità sui social grazie al nostro potente brand e ai nostri numerosi follower/fan”.

Un po’ come la mela della strega cattiva di Biancaneve, dall’aspetto accattivante ma con un retro gusto – diciamo – amaro.

Sicuramente non cambiano la vita in termini retributivi e previdenziali quattro giorni di iniziative.

Ma se consideriamo che molte persone nel corso dell’anno per fare curriculum (si farà davvero?) partecipano a più iniziative simili all’Internet Festival, vediamo come si crei un continuum di retribuzioni (quando sono presenti) di basso livello che da un lato sollevano dai costi le macchine organizzative degli eventi, dall’altro offrono solo occasioni effimere di guadagno per quei giovani e meno giovani che per un tweet o un post di popolarità (una volta erano 15 minuti!) sacrificano giorni di impegno e competenze. E intanto il tempo passa…

Come si può notare dalle figure professionali richieste nell’annuncio, le professioni digitali sono proprio tra quelle che oggi soffrono, da un lato, di più la mancanza di occupazione e di un riconoscimento professionale (vedi i dati sugli occupati in ambito giornalistico),  e dall’altro sembrano essere i lavori di oggi/domani (ne abbiamo scritto più volte sulla mancanza di competenze digitali e relativa occupazione in Italia e in Europa).

Per certi aspetti è bello vedere come la fondazione Sistema Toscana insieme ad aziende, istituzioni, università e media a supporto dell’evento diano vita a iniziative culturali anche interessanti.

Internet Festival dimostra come il digitale sia un tema sempre più centrale nella vita delle persone e va giustamente colto sotto varie sfaccettature.

Per altri aspetti sarebbe bello che proprio la cultura offra opportunità lavorative più dignitose per tutti i soggetti coinvolti in questi eventi, in nome di quella capacità di analisi, di approfondimento e di critica che dovrebbe portare a fare un ragionamento sul lavoro – anche quello digitale – a 360 gradi.

Quindi anche in termini di tutele e riconoscimento dei diritti per chi offre la propria “volontarietà” (come si legge nell’annuncio, bisogna anche garantire almeno il 75% della presenza offline e online).

Basta ricordare il recente caso Carpisa per vedere come le professioni della conoscenza, più in generale, siano sinonimo di sfruttamento e di accrescimento di quell’idea – pericolosa – che fino a quando si viene pagati, anche poco e male, vada tutto per il verso giusto.

Ai diritti e alle tutele c’è sempre tempo per pensarci o aspettare che altri lo facciano.

Ma in realtà non è così. O almeno, non dovrebbe andare così.