ATIPICI – Cococo, cocopro, con partita iva -che sono costretti ad aprire per potere lavorare-, senza contratto, stanchi, depressi o arrabbiati: in una parola, precari!
Una popolazione in aumento come conferma uno studio elaborato dall’Istituto Sondaggi Datagiovani (www.datagiovani.it) che si basa sui dati forniti dall’Istat. Oggi, rileva l’istituto centrale di statistica, uno su tre tra quelli che lavorano e’ precario: piu’ precisamente il tasso di disoccupazione giovanile, tra gli under 30, è del 29,2%, mentre quello generale è dell’ 8,5%.
La precarietà colpisce soprattutto i giovani.
QUANTI SONO – Il ‘popolo’ dei precari e’ composto oramai da un milione e 640 mila persone con futuro incerto (un pò meno se cominciano a vagare da una nazione all’altra).
CHI SONO- Il precario “tipo” è donna, con contratto a termine, in possesso di laurea. Il titolo di studio non basta però a scongiurare le difficoltà, anzi paradossalmente, più e’ elevato più cresce la condizione di precarietà: chi ha meno titoli, infatti, costa meno.
Il 70% dei precari under 35 anni è rappresentato da giovani con contratto a termine imposto dall’azienda, il 45% e’ composto da part-time involontari, ovvero giovani che avrebbero voluto lavorare full-time.
Molti di loro sono “bamboccioni” controvoglia, impossibilitati ad uscire di casa piuttosto che vogliosi di starci: precari per forza insomma. Persino il Papa, ultimamente, li ha citati più volte invitando le istituzioni ad affrontare e superare il problema ma la situazione non e’ cambiata.
La RASSEGNAZIONE – La precarietà si accompagna ad un diffuso pessimismo e senso di rassegnazione ed è difficile immaginare che possa essere diversamente, visto che la transizione verso la carriera ha percorsi sempre più incoerenti e incidentati e sempre meno lineari.
Riuscire a dedicarsi al lavoro per cui si studiato è condizione sempre più rara e privilegiata: i giovani, quando non smettono di cercare -come avviene per la neet generation- si adattano a professioni diverse, meno qualificate e attraenti di quelle che avevano scelto e anche cosi’ fanno fatica a trovare un lavoro che duri più di 6 mesi.
TANTI LIBRI POCA POLITICA – Sul fenomeno esiste un ampia letteratura (Mi spezzo ma non mi impiego di Andrea Baiani, Vita precaria e amore eterno di Mario Desiati, Cronache dalla ditta di Andrea Cisi, tanto per citarne alcuni) ma non una buona politica. Piccola eccezione, ma con pochi risultati, il decreto salva precari firmato dal precedente ministro Maria Stella Gelmini. Allo stato attuale mancano risposte concrete da parte della politica e anche il Governo dei professori, al momento, non le ha date.
IL FENOMENO- e’ in preoccupante crescita, in generale, visto che la componente precaria dell’occupazione giovanile è aumentata, rispetto al 2007, di oltre 4 punti percentuali, molto di più che per gli altri lavoratori.
AL SUD- Nel Mezzogiorno si registra, oltre al valore assoluto più elevato di giovani precari (487.000 persone in stato di precarieta’) anche l’incidenza maggiore di precari , giovani e non, sugli occupati. Qui la crisi ha avuto effetti ancor più gravi che non al Nord e le imprese, spesso, non sono state nemmeno in grado di sostituire i giovani licenziati con i precari.
Il precariato è in crescita anche nelle zone tradizionalmente più produttive (come Lombardia e Veneto). Il fenomeno si allarga e sono sempre piu’ urgenti dei provvedimenti in grado di contrastarlo.
Il nuovo governo dei professori sara’ capace di adottarli?
di Giuseppe de Paoli