ROMA – L’ industria del videogioco in Italia sta osservando negli ultimi anni un deciso trend di crescita. L’ultimo esempio è quello del Vigamus, The Video Game Museum of Rome, il primo museo del videogioco che aprirà al pubblico il prossimo 20 ottobre a Roma in Via Sabotino.
Raoul Carbone, amministratore del Vigamus e presidente Aiomi, Associazione italia opere multimediali interattive, ci ha dato una ‘fotografia’ del settore con informazioni molto interessanti per chi voglia lavorarci.
“Il Videogioco è un prodotto molto eterogeneo, che unisce l’arte e la creatività con le nuove tecnologie. Le figure professionali del settore si collocano principalmente nelle aree di Programmazione, Game Design e Grafica. I grandi team internazionali sono composti mediamente con queste proporzioni: 10% programmatori, 30% game designer, 50% grafici, 10% altre figure professionali particolari come beta tester, sound designer, etc.
I programmatori sono molto richiesti, ma il livello di selezione è sempre molto alto: devono essere molto intuitivi, versatili e specializzati in linguaggi di sviluppo e software particolari. I grafici 3D e 2D sono elementi importanti, che devono essere molto adattativi per stile e conoscenze tecniche.
Un tempo c’era una grande distinzione tra chi ideava la grafica e chi la realizzava, oggi, con nuovi avveniristici software, i grafici sono dei veri e propri artisti digitali. Capitolo a parte per i game designer, figura peculiare del mondo dei videogiochi, ovvero quelli che inventano e strutturano le dinamiche del gioco. Il game designer deve unire rigore matematico ad una cultura enciclopedica, a volte coniugando l’inconiugabile. Spesso per fare i game designer si entra da giovani come beta tester (chi prova i videogiochi durante il periodo di sviluppo, segnalando errori e imperfezioni) e poi gradualmente si scala una piramide di professioni fino a poter diventare i “Director” di un titolo.
E’ curioso notare che i capi progetto di titoli importanti, di fatto game designer, oggi si chiamino proprio con lo stesso appellativo previsto per il Cinema, ovvero Director, Regista. Per finire, ricordo che è molto importante è la conoscenza della lingua inglese, altrimenti è praticamente impossibile lavorare nel settore”.
L’industria del videogioco in questi ultimi anni è in crescita in Italia. Può fornirci qualche dato sull’occupazione nel settore?
“Il settore videoludico italiano vive da sempre una grave sproporzione tra un florido mercato e un’industria ancora in via di sviluppo, che non può competere al momento con i difficili standard internazionali, né per qualità dei prodotti, né per dimensione delle aziende. In Italia si comprano molti videogiochi, ma se ne producono pochissimi.
Naturalmente ci sono alcune, pregevoli, eccezioni: penso a Milestone S.r.l. di Milano, storica azienda specializzata nel settore racing game, SpinVector S.p.a. di Benevento (NA), software-house brillante e versatile con tanti successi alle spalle e la giovane ma molto solida Goods Games S.r.l. di Chiavari (GE), realtà che raccoglie l’eredità di Artematica.
Questi studios contano circa da 50 a 100 persone impiegate, con buoni stipendi, consentendo anche l’importazione di validi operatori del settore da altri Paesi. Poi ci sono piccole aziende con team da 20 unità e piccolissime realtà indipendenti, a volte formate da 3 o 4 elementi, che cercano di emergere con piccoli ma interessanti progetti.
TALENTI CHE VANNO ALL’ESTERO – Infine, abbiamo molti talenti all’estero, che ricoprono posizioni di grande rilievo in software-house di altri Paesi, dove l’industria videoludica è più strutturata, come ad esempio in USA e Giappone, ma anche in Francia, Inghilterra, Germania, etc. Personalmente ho sempre creduto molto nelle potenzialità del nostro Paese, abbiamo anche creato la prima rappresentanza in Confindustria per il settore videogiochi dal 2009 al 2011, ma ad oggi sono più prudente nelle valutazioni.
Ci vorrà ancora qualche anno per vedere nel nostro Paese un’industria del videogioco strutturata, ma sono fiducioso che accadrà molto presto, grazie agli sforzi (a volte non ricompensati o addirittura osteggiati) di pochi ma agguerriti pionieri”.
Quali tipi di contratto e con quali compensi vengono assunti i professionisti di questo settore?
“In Italia a quanto mi risulti non c’è un inquadramento professionale apposito per gli operatori del settore videogiochi. Addirittura i componenti di un team a volte vengono assunti con contratti previsti per i metalmeccanici.
Questo è uno dei principali sintomi del fatto che nel nostro Paese il Videogioco è molto trascurato, a volte completamente sconosciuto agli organi competenti in materia di diritto, soprattutto di diritto del lavoro. Però credo che sia solo questione di tempo, tra breve, come è accaduto per altri mercati emergenti, la cultura muoverà la consapevolezza delle potenzialità del settore e arriveranno gli investimenti pubblici e privati, a seguire nasceranno adeguamenti a livello legislativo”.
Qual è la posizione dell’Italia rispetto al panorama internazionale?
“Nel mondo il videogioco ha superato il fatturato del cinema, la musica e l’home video, con oltre 60 miliardi di dollari. In Italia il mercato videoludico fattura oltre 1 miliardo e 200 milioni di euro, ma dobbiamo amaramente riconoscere che di italiano ci sia solo uno 0,5% ad essere ottimisti.
I motivi vanno identificati in primis nella mancanza di consapevolezza delle potenzialità del Videogioco come medium artistico e culturale e prodotto industriale d’eccellenza. Per questo AIOMI si batte da sempre per creare consapevolezza nell’opinione pubblica e sui tavoli istituzionali, attraverso numerose iniziative, in primis il ViGaMus – Museo del Videogioco, primo e unico in Italia, che aprirà il 20 ottobre 2012 a Roma, vicino piazza Mazzini.
Quando il videogioco sarà riconosciuto e apprezzato nel nostro Paese al pari del cinema, allora ci saranno i presupposti per predisporre infrastrutture economiche, pubbliche e private, per supportare lo sviluppo di questo settore. In Francia o in Canada, lo Stato ha investito moltissimo per creare un’industria del videogioco forte e competitiva, con il risultato che ad oggi in questi Paesi prosperano alcune tra le maggiori software-house del mondo, che vantano studios da oltre 1.000 dipendenti e produzioni imponenti da oltre 150 milioni di dollari a titolo”.
di Mario Grasso