MILANO – Strana accoppiata, almeno in apparenza, quella tra i rappresentanti delle aziende trentine e israeliane che nei giorni scorsi si sono incontrati per il «Trento-Israele Day», presenti il presidente della Provincia autonoma Lorenzo Dellai e l’ambasciatore israeliano in Italia Naor Gilon.
Accoppiata strana solo in apparenza però: l’incontro precedeva di pochi giorni il bando della Provincia autonoma volto a stimolare progetti di innovazione nell’ambito ICT e Israele ha il primato mondiale di startup, praticamente una ogni 1.844 cittadini! e quindi rappresenta un modello da seguire con attenzione.
Israele è noto per il suo costante impegno nel campo dell’innovazione e della tecnologia (anche per questo è stato scelto come sede da società come Google, IBM, Intel, Microsoft) e ha saputo fare scelte importanti per lo sviluppo delle aziende innovative. Oggi ha un livello di venture capital che è due volte e mezzo quello degli Stati Uniti!
Non sono solo i trentini a interessarsi al ‘modello’ Israele: nell’ultima settimana d’ottobre sono state 13 le start up nostrane selezionate dall’ICE, (l’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese) che hanno partecipato ad un incontro formativo a Jafta in Israele.
Il ministro dello sviluppo economico Corrado Passera ha recentemente firmato un accordo di cooperazione con il Ministro degli Affari esteri israeliano, Avigdor Lieberman per quanto riguarda la formazione, gli investimenti e la condivisione di esperienze nell’ambito tecnologico.
La “ricetta” israeliana, sempre più spesso presa a modello, ha un nome: Yozma (‘iniziativa” in ebraico) lo stesso del programma governativo, lanciato già nel lontano 93, che grazie a risoluti sgravi fiscali ha favorito gli investimenti necessari alla creazione di nuove imprese high tech, nate poi, a migliaia, nell’arco di pochi anni.
Un certo peso nel prodigioso sviluppo israeliano l’ha avuto anche la capacità di assorbire la massiccia ondata d’immigrazione proveniente dall’Ex Unione Sovietica. La stessa immigrazione che ha contribuito a far arrivare nel paese personale altamente specializzato in ambito tecnologico e scientifico.
Inoltre, e forse soprattutto, ha influito un fattore tipico della cultura ebraica e cioè l’atteggiamento di fronte all’insuccesso che viene percepito non come ‘fallimento’ ma come rischio naturale, possibilità da mettere in conto, persino opportunità.
Un dato, quest’ultimo, notato anche da Dan Senor e Saul Singer, autori di ‘Start Up Nation’, tradotto in Italia con il titolo ‘Laboratorio Israele’ (Mondadori).
I due autori aggiungono un altro elemento che concorre al particolare “mix” israeliano e cioè la necessità della nazione di investire fortemente nella difesa.
Una necessità che è stata trasformata in una straordinaria opportunità di formazione professionale e personale dei cittadini poiché l’esercito israeliano possiede oramai tecnologie ultrasofisticate e ha funzionato da scuola in tal senso.
Dal libro emerge quindi il quadro di un paese decisamente ‘tenace’ e fortemente orientato al problem solving: due doti, bisogna ammetterlo, molto importanti, se non fondamentali, per chiunque voglia far partire una start up.
di Giuseppe de Paoli