MILANO – Luigi Gambardella si è tolto il cappello di capo associazione di Alleanza per Internet e ha ripreso quello, più veritiero, di presidente di Etno, l’associazione delle aziende di telecomunicazioni europee, incontrando in questa veste Antonio Tajani vicepresidente Commissione Ue.
Come mai questa improvvisa necessità? Gambardella l’ha buttata sull’ottimistico: le comunicazioni digitali europee (Tlc, It, Tv, editoria) valgono €680 miliardi e possono contribuire allo sviluppo del vecchio Continente.
Detta cosi’ fa pensare a un buon samaritano, che mentre va tutto bene, non pensa altro che ad aiutare il resto dell’economia derelitta.
L’incontro in realtà manifesta un grido di dolore: i primi cinque mercati telco europei fatturano oggi circa €123 miliardi di euro (meno della metà del 2007!); i ricavi del settore sono scesi, nel 2012, dello 0,7% e nel 2013 è previsto un calo del 3,8%.
Mentre le telco americane crescono (fra il 6 e il 9%) quelle europee vanno in senso inverso e perdono (tra il tre e il 5%.)
Eppure, almeno concettualmente, l’Europa ha condiviso il mito della rivoluzione digitale, che ha ereditato dall’espansione Usa del ventennio ’80-’90.
L’America però ha sempre guardato al mondo digitale come un unico grande mercato da conquistare a tutti i costi e, nonostante il periodo di crisi finanziaria e i debiti, ha aggredito l’enorme mercato digitale mondiale con una partnership, sia di filiera sia di capitali, con gli asiatici.
Il fronte asio-Usa presenta oggi una decina di centri monopolistici, capaci di raggiungere qualunque utente mondiale, dotato di moneta. Invece i lavoratori europei Tlc e IT sono in calo dal 2009, e anche i loro stipendi continuano tendenzialmente a diminuire.
I nostri due si saranno detti che senza telco l’Agenda 2020 resta un libro di sogni; che la riduzione dei costi delle nuove reti è un pannicello caldo e che con i soldi di tanti bandi europei si realizzerebbe subito la fibra ottica europea garantendo il diritto a Internet a livello universale.
Difficile che si siano chiesti quale sia il senso dei tanti Regolatori che garantiscono tutti (operatori, consumatori, investitori, ricercatori), tranne i produttori.
In Italia l’ultima grande Authority, l’Ag Com (la cui gestione Calabrò è stata subissata dalle critiche) è chiamata a interpretare un nuovo scenario, più attento verso chi assume le responsabilità di firma, senza badare troppo alle tante sigle che avanzano proposte e Manifesti sul futuro digitale (Coalizione digitale, Alleanza per Internet, Isoc, Internet Governance Forum, Stati generali dell’Innovazione, Assinform, Assintel, Assinter, Confindustria Digitale, Servizi Tecnologici).
Farsi garante del mercato è oggi considerare la voce dei lavoratori digitali, che sono il patrimonio know how, attorno al quale ruota la società dell’informazione dell’Europa di Delors.
Un Regolatorio diverso che unifichi i tanti regolatori europei e che abbia regole da consiglio di sorveglianza Ict potrebbe ridare unità di indirizzo al mondo digitale potenzialmente ricco, ma oggi frammentato, debole e incerto.
di Giuseppe Mele