Clickworking, quando dietro il lavoro si nasconde la truffa

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Clickworking, quando dietro il lavoro si nasconde la truffa

Il clickworking è uno degli ambiti della gig economy che riguarda i lavori svolti on line su compiti semplici e ripetitivi.

Che lavoro fanno i clickworker? Principalmente guadagnano cliccando su banner, mettendo “mi piace” su Facebook o “cuoricini” su Twitter, vedendo video sui social network, moderando commenti o fotografie, scrivendo didascalie, traducendo testi e tanto altro ancora.

C’è anche un lato oscuro di queste attività, un mix tra lavoro online e investimento finanziario.

Ultimamente, infatti, abbiamo ricevuto delle email da parte di alcune persone coinvolte in Nord Italia – a loro insaputa – in attività di clickworking sospette.

Tant’è che una delle scriventi ha già segnalato alla Consob (l’organo di controllo del mercato finanziario italiano) il problema che lo ha ritenuto di probabile interesse.

In effetti, con delibera n. 19834 del 23 dicembre 2016, la Consob ha già vietato alla piattaforma online Profits25 la prestazione di servizi per 90 giorni.

Queste piattaforme pongono diverse questioni di ordine lavorativo, tecnologico e giuridico.

Chi lavora su queste piattaforme lo fa perché non trova lavoro, per arrotondare il proprio stipendio mensile, a volte ha difficoltà nelle relazioni sociali o problemi di salute che lo costringono a stare in casa senza una rete di supporto socio-sanitario.

Inoltre, le attività lavorative su questi siti web sono poco remunerative e in alcuni casi, come quello citato sopra, offrono solo l’illusione di un guadagno istantaneo e con poco sforzo.

In realtà nascondono spesso operazioni finanziarie internazionali poco trasparenti a danno degli utenti iscritti.

In una prima fase, il meccanismo sembra facile: basta visualizzare pubblicità in un circuito chiuso e il guadagno arriva subito sui vostri conti correnti.

Tuttavia, chi ci ha scritto, ha solo investito i propri soldi (si parte da 25 euro fino a cifre che possono raggiungere migliaia di euro) per avere ricavi minimi all’inizio e poi perdere tutto nell’acquisto di coupon pubblicitari nei mesi successivi con una conseguente fuga dei proprietari delle piattaforme.

Tra l’altro, i metodi di versamento e pagamento (Postepay, per esempio) richiesti non hanno alcuna copertura o possibilità di rimborso proprio in caso di attività illecite.

Se non bastasse, i siti web incriminati sono chiusi dalle autorità competenti internazionali ma nel giro di poche ore rinascono con nomi nuovi, su diversi domini e su server presenti in Paesi che non hanno una copertura fiscale e legale atta a tutelare al meglio i consumatori.

“My advertising pays”, per esempio, ha sede a Port Louis, nell’isola Mauritius. VX Gateway – un sistema di pagamento delle transazioni elettroniche usato su queste piattaforme – ha in corso una causa a Panama.

Amazing5 è scomparsa dopo le accuse di scam, cioè il tentativo di furto di dati informatici sensibili, come password da parte di malintenzionati, al fine di sottrarre o trasferire indebitamente somme di denaro da conti on line.

Esistono senza dubbio altre attività di click working che – nonostante siano al limite della dignità lavorativa – sono al di fuori di questo “Sistema Ponzi” digitale.

Come combattere il clickworking ingannevole e fraudolento? Facendo una denuncia alla polizia postale, a un’associazione di consumatori o a un sindacato se questo tipo di attività può essere inquadrata come un lavoro a tutti gli effetti.

Da questo punto di vista ancora ci sono alcuni aspetti normativi che sicuramente vanno chiariti con l’evoluzione del lavoro su piattaforme online.

Vi lasciamo con due video. Il primo è “Field of vision – Like”, un’inchiesta breve di Garrett Bradley sui click workers nelle click-farms del Bangladesh.

Ci sono alcune testimonianze dirette dei lavoratori che riempiono di like e commenti i profili pubblici delle star internazionali sui social networks.

Il secondo, giusto per provare a concludere questa lettura col sorriso, è Buyral, un video realizzato qualche anno fa dal creativo John st. che prende in giro proprio chi utilizza le click farm per acquisire “popolarità” e rendere “virali” i propri contenuti online.

Se volete raccontare la vostra storia di click worker, scriveteci a consulenza@sindacato-networkers.it.

Foto: Albert Absmeier