19 Aprile 2024

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Accesso abusivo alla posta elettronica: la condanna della Cassazione

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      Redazione
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        La sentenza 13057 del 31 marzo 2016 della Corte di Cassazione ha condannato un dipendente che ha avuto un accesso abusivo alla posta elettronica di un altro collega.

        La sentenza ha affermato che costituisce un reato di natura penale secondo l’articolo 615-ter del codice penale l’accesso abusivo da parte di soggetti terzi all’interno di una casella e-mail di un lavoratore.

        Infatti, la presenza di una password personalizzata dimostra la volontà dell’utente di farne uno spazio a sé riservato e vietare ogni accesso abusivo alla posta elettronica.

        In particolare, il collega era entrato diverse volte nell’account per guardare e scaricare alcuni documenti.

        Come si può leggere nella sentenza, «La casella di posta elettronica rappresenta, inequivocabilmente, un “sistema informatico” rilevante ai sensi dell’articolo 615/ter codice penale. Nell’introdurre tale nozione nell’ordinamento il legislatore ha fatto evidentemente riferimento a concetti già diffusi ed elaborati nel mondo dell’economia, della tecnica e della comunicazione, essendo stato mosso dalla necessità di tutelare nuove forme di aggressione alla sfera personale, rese possibili dallo sviluppo della scienza».

        Più in generale, i sistemi informatici rappresentano, infatti, «un’espansione ideale dell’area di rispetto pertinente al soggetto interessato, garantita dall’art. 14 Cost. e penalmente tutelata nei suoi aspetti più essenziali e tradizionali dagli artt. 614 e 615».

        Inoltre, i giudici hanno di conseguenza rigettato l’equiparazione – fatta dagli avvocati del ricorrente – della casella di posta elettronica alla “cassetta delle lettere” collocata nei pressi dell’abitazione, poiché detta “cassetta” non è affatto destinata a ricevere e custodire informazioni e non rappresenta una “espansione ideale dell’area di rispetto pertinente al soggetto interessato”, ma un contenitore fisico di elementi (cartacei e non) solo indirettamente riferibili alla persona.

        La pena detentiva è stata sospesa dalla Cassazione e il ricorrente è stato condannato a pagare 1.000 euro alla Cassa delle ammende, oltre alle spese di parte civiel e legali.

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