Roma – Lavorare da casa, stando seduti davanti al pc o telefonando: è il telelavoro, il lavoro a distanza, che il governo sembra intenzionato a rilanciare nel decreto sviluppo, soprattutto come forma di conciliazione con le esigenze familiari. Ma per ora il telelavoro, che l’Europa ha ‘codificato’ già nel 2002 con un Accordo quadro, stenta a decollare nel nostro Paese.
L’indagine Isfol – Secondo i risultati dell’indagine Isfol Plus relativi al 2008 (praticamente l’unica a indagare sul tema), il telelavoro nel nostro Paese interessa solo circa 55.000 lavoratori, il 7% dei circa 771.000 dipendenti delle aziende con contratti che prevedono tale tipologia. “A questi lavoratori però – spiega a LABITALIA Francesca Bergamante, ricercatrice Isfol- si affiancano circa 2.100.000 lavoratori che sostengono di voler chiedere in futuro l’applicazione del contratto di telelavoro qualora l’azienda in cui lavora ne dia la possibilità”.
Insomma, la platea interessata è vasta, ma sono ancora molte le difficoltà che il telelavoro incontra nella sua attuazione. “Dall’indagine Isfol-Plus, emerge che solo il 4,3% delle aziende prevede un contratto di telelavoro -spiega Bergamante- e la dimensione aziendale gioca un ruolo di primo piano: all’aumentare del numero di addetti, cresce anche la percentuale di possibilità di accesso al telelavoro. Questo dato – aggiunge la ricercatrice Isfol – è ovviamente legato alla maggiore disponibilità di dotazioni tecnologiche, ma anche e soprattutto al fatto che nelle aziende di maggiori dimensioni è più probabilmente diffusa la specializzazione di alcune funzioni che possono dunque essere svolte fuori dai luoghi di lavoro”.
Il telelavoro piace a molti – Le potenzialità di utilizzo del telelavoro sembrano comunque essere molto elevate. “Se consideriamo la quota di attività lavorativa che potrebbe essere svolta in luogo diverso da quello dell’ufficio principale – aggiunge Bergamante – l’11,6% degli occupati sostiene che quasi tutto il proprio lavoro potrebbe essere svolto non in azienda; a questo valore si può aggiungere anche il 16,8% dei dipendenti che sostengono di poter telelavorare molto. Se si osservano i dati relativi a quanto dichiarano le donne -conclude- emerge in modo chiaro che il lavoro femminile, più di quello maschile, potrebbe essere svolto in altri luoghi: il 29,5% delle donne potrebbe infatti passare al telelavoro per molta o quasi tutta l’attività”.
Una opportunità per le donne – “Ben venga il telelavoro ‘incentivato’ per le donne che hanno appena avuto un figlio o che hanno esigenze di cura, ma per periodi brevi e con la consapevolezza che questo strumento non è la soluzione definitiva per la conciliazione dei tempi di lavoro con quelli della famiglia”. Lo dice a LABITALIA Alessandra Servidori, consigliera nazionale di parità, commentando l’intenzione, annunciata ieri dallo stesso ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, di “incoraggiare il telelavoro” nel decreto sviluppo. “Il telelavoro – spiega la consigliera – fa parte della batteria di strumenti che il ministro Sacconi ha previsto nell’Avviso comune sulla conciliazione lavoro-famiglia dello scorso 7 marzo e che è stato firmato da tutte le parti sociali.
Si tratta senza dubbio di uno strumento, come il part time o la flessibilità dell’orario, utile in alcuni momenti della vita lavorativa, quando proprio c’è un’inconciliabilità assoluta con la vita privata, ma che ha comunque dei costi abbastanza elevati”. Costi, precisa Servidori, “anche per la lavoratrice”. “Intanto è ‘tagliata fuori’ dal sistema aziendale e produttivo -nota- e poi, come il part time, può portare a una diminuzione della contribuzione e alla conseguente difficoltà a raggiungere una pensione congrua”.
Piace anche alle imprese – Per il datore di lavoro “invece il telelavoro significa una riorganizzazione totale dei profili professionali in azienda”. Ecco perché, ribadisce Servidori, che con l’Osservatorio sulla contrattazione, incardinato nell’ufficio della consigliera di parità, sta svolgendo un puntuale lavoro di analisi degli strumenti per la conciliazione contenuti nei contratti, “telelavoro e parti time vanno bene solo per brevissimi periodi”. Occorre andare anche a revisionare alcuni meccanismi, invita Servidori: “Non solo part time e teleavoro devono essere per brevi periodi, ma ci deve anche essere un certo turn over in modo tale che più dipendenti della stessa azienda possano usufruire di questi strumenti. Non bisogna cioè, invece, far occupare quel 4% dell’intero organico riservato dai contratti a queste flessibilità, a una sola persona per venti anni”. Infine, la modifica più importante: “Occorre dotare le donne per quei periodi di ‘assenza’ dal lavoro per cura di figli o di genitori, di contributi figurativi, con un sistema simile -conclude- a quanto già avviene adesso con la formazione e gli enti bilaterali”.
da Adnkrons (LabItalia)