Emanuela Zaccone – Social Media Analyst

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Nata nel 1982, scorpione. Cresciuta tra Catania e Messina, dove ha vissuto fino ai 21 anni per poi vagare tra Bologna, Nottingham e Roma (con frequenti viaggi a Milano).
A maggio 2011 ha conseguito il Dottorato di ricerca con un progetto su Social Media Marketing per gli audiovisivi e user engagement.
Adesso vive a Roma dove lavora come Social Media Analyst e Researcher a Telecom Italia. Blogger freelance, si occupa di formazione sui temi legati a Social Media, mobile e Geolocal marketing.
Ha un’insana passione per le serie TV, la Social TV e Marcello, il suo bassotto.

L’ultimo social post?
Lost in Google, Inside, Aim High: tra Social Hollywood e Social series“, pubblicato sul blog di Young Digital Lab, ricondiviso anche sui miei profili Twitter, Facebook e Google+.

L’ultimo video che hai visto su Youtube?
Quello sul bear deodorant protector di Old Spice. Sono proprio quelli della celebre serie di video virali divenuti ormai un caso da manuale. Stavolta però c’è una “piccola” variante sul tema.

Mac, Windows o Linux?
Mac, senza dubbio. Ma ho anche un Olibook con Windows 7.

L’ultimo acquisto online?
Valigie Samsonite su Privalia: sono sempre in movimento, le valigie con me hanno durata breve.

Un libro che ha segnato la tua vita?
“Cent’anni di solitudine”. Ma anche “Il Silmarillon” di Tolkien.

Quale è stato il progetto lavorativo che più ti ha segnato?
Working Capital, senza dubbio. Ha dato forte impulso e visibilità alla mia ricerca di Dottorato e mi ha permesso di metterla a frutto direttamente in azienda.

Quando hai deciso di diventare social media analyst?
Avevo già qualche anno di esperienza nel community management, ma volevo spostarmi sul lato più spiccatamente analitico: solo così avrei potuto valutare l’efficacia di certe iniziative, ragionando in modo strategico su metriche e attività di comunicazione.

Nella tua carriera, ha contato più lo studio (da autodidatta o scolastico-professionale) o l’esperienza pratica?
Entrambi: un po’ per carattere (sono una persona molto pragmatica), un po’ per esigenza (soprattutto negli ultimi anni, dato che avevo un Dottorato senza borsa) studio e lavoro non sono mai stati disgiunti.
Durante il Dottorato, quantomeno, ho avuto la fortuna di trasformare la mia ricerca sui Social Media in competenza preziosa per i miei successivi lavori come Community Manager.

Il primo colloquio non si scorda mai: hai qualche curiosità da raccontare?
Niente di particolare del primo, ma l’elevator pitch per Working Capital è l’evento di cui ho il ricordo più divertente: bisognava stare tassativamente entro i 5′ concessi. Ho passato un’intera settimana con il cronometro a provare e riprovare la mia presentazione, poi quando sono salita sul palco ho pensato “io da qui non scendo da perdente”.
È stata una soddisfazione straordinaria, dopo un “allenamento” da olimpiade.

Emanuela ZacconeHai avuto durante la tua carriera professionale un incontro particolare?
Sì, una conoscenza nata sui Social che per una serie fortuita di eventi si è trasformata in un incontro reale durato pochissimo.
Giusto il tempo sufficiente per sentirmi fare un piccolo discorso che mi ha dato una fiducia che, in quel momento, credevo di aver perso. È stata una spinta a ripartire.
Il ricordo a cui sono più affezionata resta comunque quello dell’incontro con Quentin Tarantino e Takeshi Kitano: ero al Festival di Venezia perché lavoravo in ufficio stampa. Un pomeriggio, inaspettatamente, me li sono ritrovata davanti, i miei registi preferiti. È stato straordinario.

E un’intuizione vincente?
Il tema della mia ricerca di Dottorato. Quando a fine 2007 ho detto di voler scrivere di Social Media Marketing e user engagement qualcuno ha detto “Facebook? Ma cos’è? Figuriamoci, non sfonderà mai…”. Miopia è dire poco.

Cosa consigli ai giovani che vogliono diventare social media analyst come te?
Di divertirsi sui Social. Seguite i vostri interessi, partecipate ai gruppi e agli eventi “reali” che da questi possono trarre origine, ma sempre con spontaneità: i Social dicono di noi più di quanto immaginiamo.

Internet ha cambiato il mondo del lavoro in Italia. Come?
Creando nuove opportunità e, contemporaneamente, denunciando situazioni di lavoro non retribuito. Non è poco, soprattutto in un contesto di crisi. La possibilità di avere degli spazi di visibilità prima preclusi e di potersi (re)inventare non ha precedenti nella storia del lavoro.

Serve un sindacato dei Networkers? Se sì, come te lo immagini?
Serve tutelare chi ancora maschera e svaluta le attività online approssimandole alla prestazione gratuita: operare su Social è un lavoro divertente ma resta un lavoro e va trattato come tale.

Descrivi la tua professione in modo chiaro e diretto in modo che anche mia nonna possa capirla.
Sono una persona che ascolta quello che gli altri dicono delle marche per cui lavora, sia quando sono in “casa loro” che quando gli altri pensano di non essere sentiti.

L’organizzazione ‘classica’ del lavoro (orari rigidi e cartellino da timbrare) ha senso per un networker?
Ha senso lavorare in presenza almeno per il 50% con gli altri membri del proprio team: le migliori idee nascono da brain storming (o brand storming, come li chiamo io) collettivi.

Quanti sono i tuoi amici sui socialnetwork, quanti di questi conosci davvero e quanti frequenti anche “off-line”?
Dipende dagli eventi a cui partecipo e dalla città in cui mi trovo. Circa un terzo dei miei amici Facebook sono persone che frequento anche nella vita reale in modo più o meno continuativo a seconda di dove mi trovo.
In cifre ad oggi ho 1144 amici su Facebook (e un arretrato di circa 90 nuove richieste da valutare), 1843 followers su Twitter, 1086 contatti su LinkedIn, 1820 persone che mi hanno inserito nelle loro cerchie su G+.

Prima di incontrare qualcuno che non conosci fai una ricerca su Google?
Prima di Google controllo Twitter e LinkedIn: do la priorità a quello che le persone dicono di sé e al modo in cui si trasmettono, poi a ciò che la Rete dice di loro.