MILANO – Il popolo delle partite iva in Italia, supera quota otto milioni e ottocentomila. Su queste cifre convergono le stime dell’associazione “Venti Maggio” e quelle del professor Patrizio di Nicola, docente all’università ‘Sapienza’ di Roma.
Se anche si sottrraggono le partite Iva considerate inattive, a quota tre milioni e ottocentomila, rimangono sul mercato cinque milioni di partite iva, un esercito che comprende informatici, giornalisti, avvocati pubblicitari, consulenti aziendali e via dicendo.
Molte di queste partite Iva nascondono rapporti di lavoro subordinato: si tratta -rileva una recente ricerca dell’Ires- di lavoratori che vengono definiti “professionisti” ma non sono per niente autonomi, anzi sono spesso soggetti a uno stringente orario di lavoro, mal pagati e con contratti a ‘tempo’ piuttosto che a ‘risultato’ e, non di rado, con un unico committente.
I CAMBIAMENTI – Il rapporto Ires focalizza l’attenzione sui cambiamenti nell’ambito del lavoro autonomo e professionale. Vediamo i dati: circa l’80% degli intervistati ha una laurea, ma per il 44,6% il reddito annuale non supera i 15 mila euro l’anno. Gia’ questo primo dato conferma, assieme agli altri, un’involuzione del mondo del lavoro autonomo e professionale: involuzione testimoniata anche -rileva l’Ires- “dalla costrizione ad usare forme improprie di lavoro (8,5%), da “scarsa autonomia” (19,6%), dalla gestione definita e controllata di un orario di lavoro (24,4%) ; da un contratto stipulato sulla base della durata e non sui risultati della prestazione (20,2%).
LA LEGGE – Un lavoratore con partita Iva dovrebbe avere ben altre caratteristiche. Secondo la legge (articolo 222 del Codice civile) è lavoratore autonomo chi compie un’opera o un servizio richiesto da un committente con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione. Le caratteristiche che contraddistinguono il lavoratore autonomo, sono due: in primis l’autonomia: il soggetto svolge la propria attività senza vincoli di subordinazione nei confronti del committente, decidendo tempi, modalità e mezzi necessari per il compimento dell’opera -nel rispetto degli obiettivi concordati con l’azienda- e poi la natura non imprenditoriale del lavoro.
GIU’ LA MASCHERA – Tutte caratteristiche mancanti alla maggior parte delle partite Iva: si tratta invece di professionisti non liberi che lavorano, di fatto, come e piu’ dei dipendenti, senza pero’ i diritti e le tutele previsti dal lavoro dipendente e quindi: senza malattia, senza ferie, con straordinari non pagati e, soprattutto di questi tempi, con la possibilità di essere lasciati a casa da un giorno all’altro.
Come s’è arrivati a questa situazione? “Nel ‘96, quando anche gli autonomi sono stati per legge obbligati a versare contributi alla gestione separata dell’Inps, l’aliquota era del 10% -spiega il sociologo del lavoro Patrizio de Nicola- ma negli anni è quasi triplicata, sino ad arrivare al 27 per cento attuale: a quel punto le aziende, che nei rapporti di collaborazione dovevano accollarsene i due terzi, hanno cominciato a scalpitare. E a trasformare cococo e cocopro in partite iva, dove l’onere è tutto sul lavoratore”
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