Counseling in azienda (e non solo): la pratica del “fare” raccontata da Paolo Bianchi

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MILANO – Come sempre, agli inizi di ogni mio corso, fisso con i partecipanti gli obiettivi da raggiungere sia per la formazione che per la pratica quotidiana.

Questo è un passaggio importante: ognuno di noi deve sapere dove vuole e deve arrivare, ma per raggiungere questi obiettivi è indispensabile tenere presente una serie di altri aspetti.

Per noi occidentali, all’opposto delle culture dell’Oriente, l’obiettivo è più importante della modalità del percorso per raggiungerlo.

Così, molto spesso, fissiamo obiettivi per i nostri collaboratori senza prendere in considerazione cosa significhino per loro e quali valori assumano nella loro attività.

L’obiettivo prevale sul percorso, ma questo non è sufficiente.

La scorsa settimana parlavo con un imprenditore che mi diceva di essere convinto che per raggiungere qualsiasi obiettivo sia indispensabile la corretta predisposizione a raggiungerlo. Non posso che dargli ragione perché una visione orientata al percorso, che comprende quindi l’insieme delle modalità da adottare per perseguire un determinato risultato, porta sicuramente al successo in quanto il raggiungimento dell’obiettivo è soltanto una logica conseguenza di quanto è stato fatto in precedenza.

Ecco perché è importante la pratica del “fare” ma soprattutto la sua “consapevolezza” per sapere a che punto siamo, dove vogliamo arrivare e quali tecniche usare per conquistare i nostri obiettivi. Per questo bisogna focalizzarsi su alcuni punti chiave:

  • Diventare consapevoli del percorso e chiedersi sempre dove stiamo andando e che cosa realmente cerchiamo.
  • Estromettere dalla nostra vita sia l’egocentrismo, che ci fa pensare di non aver bisogno di nessuno, sia l’arroganza che ci fa supporre di sapere già tutto.
  • Vincere e superare le abitudini, soprattutto quelle che ci allontanano dai nostri obiettivi
  • Non focalizzarsi troppo sugli aspetti della quotidianità, su quei riti che possono diventare maniacali facendoci perdere di vista la destinazione del viaggio, cioè l’obiettivo. (E’ quella che in psichiatria è definita la “sindrome della nave”: l’estrema cura dei dettagli devia l’attenzione dallo scopo finale, dall’obiettivo ultimo).
  • Sapere che dietro ogni obiettivo da raggiungere ci sono difficoltà da superare, considerarle come parte del percorso
  • Porsi obiettivi ambiziosi, ma raggiungibili a tappe: tutto è possibile, ma noi non siamo onnipotenti.
  • Accettare le sconfitte come momenti di crescita, di valutazione e autovalutazione, ma soprattutto evitando di ripetere gli errori.
  • Essere flessibili e non avere mai paura a cambiare gli obiettivi, strada facendo, se questo ci agevola nel percorso.

 

di Paolo G. Bianchi
Esperto in processi formativi e in counseling aziendale e personale
www.brainfactor.it; www.formazionezero.blogspot.com