Scuola digitale: quale futuro?

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MILANO – Il futuro della scuola è nelle Nuove Tecnologie, ma non basta inserire computer e nuovi strumenti per cambiarla. I docenti devono trovare nel loro utilizzo la conditio sine qua nondella didattica. Come? Ce lo spiega il prof. Enzo Zecchi, docente di sistemi presso l’Istituto Blaise Pascal di Reggio Emilia, esperto di formazione e ricerca nell’area dell’Educational Technology.

Mente e motore del progetto Lepida Scuola e del progetto Centri Tecnologici di Supporto alla Didattica della Regione Emilia Romagna,Zecchi, da anni, si dedica allo studio, alla ricerca e alla sperimentazione di nuovi modelli di didattica che abbiano come condizione necessaria l’uso dei nuovi strumenti.

Profesore cos’è il progetto Lepida Scuola?

“Adesso, dopo sette anni di sperimentazione, è un progetto che vuole cambiare la didattica esistente per pervenire a modelli più sincroni con le esigenze della società attuale, modelli per i quali l’inserimento delle Nuove Tecnologie è la conditio sine qua non. Il nostro obiettivo non è insegnare ai docenti a usare le tecnologie, ma creare le condizioni per cui sentano essi stessi la necessità di utilizzarle”

Perché secondo lei oggi la scuola e il mondo del lavoro sembrano tanto lontani?

“Perché la scuola di oggi ha ancora un’impostazione del tutto sfasata rispetto alla società in cui viviamo. Questo non significa che sia tutto sbagliato, perché c’è del buono, ma è mutato il contesto. Il successo scolastico è ancora oggi legato a due tipi di abilità: l’intelligenza logico-matematica e quella linguistico-comunicativa, mentre si tralasciano tutte le altre abilità e competenze indispensabili nell’attuale società. Mi riferisco alle otto life skills di cui parlano la Comunità Europea e le Indicazioni del 2007 del Ministro Fioroni. La prima e più importante di queste è imparare ad imparare.

Quando giravo nelle aziende per la realizzazione di alcuni documentari per la Rai, chiedevo quali fossero le caratteristiche più importanti che dovevano possedere i ragazzi per essere assunti. Tutti mi rispondevano che la prima abilità richiesta è la capacità di lavorare in gruppo, aspetto che nella scuola attuale non è affatto valorizzato.

La nostra scuola è basata sul curricolo, sui programmi e sulla classificazione dei ragazzi, ma questo modello, che rispondeva alle esigenze della società industriale, non è più adatto alla nostra società, un’economia globale basata sulla conoscenza, dove è necessario un intervento formativo per tutti”

Qual è quindi il modello secondo voi più adatto?

“Dopo aver analizzato migliaia di teorie pedagogiche, ci è sembrata più adatto il paradigma costruttivista, secondo cui i ragazzi devono “costruire”, appunto, la loro conoscenza e questo è possibile facendoli lavorare su problemi e progetti: si tratta di porre loro dei problemi e dei progetti da elaborare partendo dal loro vissuto quotidiano. Abbiamo sviluppato migliaia di progetti in questi anni e le assicuro che tutte le esperienze hanno dimostrato che questo metodo consente loro di sviluppare le competenze, prima tra tutte la capacità di lavorare in gruppo.

Crede che la scuola riuscirà a cambiare paradigma o tutto questo è destinato a restare nell’ambito di una sperimentazione, per quanto vasta?

“Credo che anche per la scuola potrebbe verificarsi il fenomeno del cosiddetto “disruptive innovation”. Si tratta di una teoria nata negli Stati Uniti per cercare di spiegare perché alcune aziende, che per anni sono fiorenti, all’improvviso, nel giro di poco tempo, collassano. La risposta potrebbe essere nel fatto che queste aziende sottovalutano il peso e la portata di una nuova tecnologia e quando questa all’improvviso si impone, si trovano impreparate.

E’ successo, per esempio, ad alcune aziende che avevano sottovalutato la portata del Personal Computer. Potrebbe accadere anche alla scuola sotto la spinta di innovazioni fondamentali come gli smart phone e i tablet, collegati in cloud computing. E’ su questa partita che si gioca il futuro della scuola, ma sta alla lungimiranza di dirigenti e insegnanti la capacità di non tarpare le ali alle possibilità che hanno, che potrebbero avere una portata enorme e decisiva”

 

di Margherita Serra