MILANO – Lo sviluppo del web e dei social media ha sicuramente sconvolto le logiche di marketing e non sempre le aziende si sono mostrate preparate davanti al cambiamento. Se da un lato le imprese hanno allargato, proprio grazie allo sviluppo del web, la possibilità di comunicare verso i propri clienti, dall’altro rischiano di non sapere, nella pratica, quali contenuti trasmettere.
Il “Web storytelling” di Joseph Sassoon, a lungo docente di sociologia della comunicazione ed esperto di semiotica e storytelling, offre una panoramica chiara e interessante sull’argomento
Come scrive l’autore, il web storytelling è “l’arte e la pratica di sviluppare contenuti per la comunicazione di marca sulla rete, che abbiano profondità simbolica, valore narrativo e capacità di appellarsi all’immaginario del pubblico”.
Ripetitivo quanto basta nei concetti chiave, il libro di Sassoon offre una profonda riflessione sul tramonto della pubblicità tradizionale e l’avvento della comunicazione on line come nuovo strumento di promozione.
Prendendo spunto dalla scuola semiotica francese e dagli sreenwriter americani, l’autore analizza l’identità di marca grazie all’uso dell’”esagono di marca” di Jean-Nöel Kapferer, lo schema di Vogler (il “Viaggio dell’Eroe”) e la struttura narrativa proposta dall’École de Paris.
Ricco di esempi, best practice e “brutte storie” di grosse e medie realtà imprenditoriali internazionali e italiane, Web storytelling propone un contatto diretto tra la teoria e la pratica esaltando il potenziale narrativo di prodotti e servizi messi sotto la lente d’ingrandimento dell’autore del testo.
L’ultima parte del libro è dedicata al vademecum sulle “10 cose da fare” e “10 cose da evitare per costruire storie di marca sulla rete.
Alcuni esempi: smettere di pensare in termini di comunicazione tradizionale, iniziare un monitoraggio sistematico del web, considerare i social media come bacino di creatività, non farsi bloccare dai timori di entrare in un universo ostile, non impostare lo storytelling on line in maniera diversa da quello off line, non sottovalutare il potenziale dello user-generated content, non limitare la presenza nei social media a una singola piattaforma.
La conclusione dell’autore è strettamente legata al contesto aziendale e soprattutto, in chiave ICT, alle nuove professioni. Sassoon, tra l’altro, raccomanda di costituire (se ancora non esiste) un social media team con responsabilità d’ideazione e implementazione delle strategie web che abbia competenze tecniche e comunicative. In tal senso, è interessante la sua valorizzazione del community manager per una conversazione continua, coerente e coordinata tra l’azienda e gli utenti e del settore IT, in grado di supportare le azioni nei social media con tutte le competenze e tecnologie necessarie.
di Mario Grasso