Lavoro: la prima sfida è vincere la paura

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MILANO – Il tema lavoro è all’ordine del giorno: se ne parla in convegni, seminari, incontri, talk show e sono molti gli spettacoli teatrali o cinematografici, addirittura i festival, dedicati alla questione. Almeno a parole il lavoro è una priorità.

Colpisce però che nellla maggior parte dei dibattiti si parli della mancanza del lavoro -soprattutto tra i giovani- trascurando le cause che hanno prodotto questa situazione, come se le stesse fossero irrilevanti.

Alcuni autorevoli economisti hanno battuto per qualche tempo su un preciso monito: non lasciare ai cittadini il peso maggiore dell’austerity.

La severità invece, negli ultimi anni, è ricaduta soprattutto sui cittadini insieme al peso del fisco, mentre la lotta all’evasione fiscale ha trascurato i grandi evasori.

Parallelamente, sempre ‘grazie’ all’Austerity, il Welfare del Paese s’è indebolito e stessa sorta ha subito l’efficienza di molti servizi pubblici.

La situazione di rigidità ha spaventato le banche che hanno smesso di dare finanziamenti togliendo linfa sopratutto alle piccole medie imprese, già schiacciate dal peso di tasse troppo alte.

Si è creato quindi, come in una sorta di circolo vizioso, un clima di sfiducia e paura che annunci come l’ultimo della Cgil (”non ci sara’ ripresa fino al 2076”) finiscono per alimentare.

Gli ultimi governi non hanno fatto granché per risovere la situazione che anzi è gradualmente peggiorata.

Il governo Berlusconi ha sempre, sostanzialmente, negato la crisi, fino al passaggio di mano al governo dei tecnici.

Il governo Monti ha sostenuto che solo accettando dei notevoli sacrifici si poteva pensare alla ripresa ma questi hanno colpito quasi esclusivamente chi era già duramente provato, mentre i provvedimenti per la crescita sono rimasti sulla carta.

Il governo Letta sta muovendo i primi passi e nei giorni scorsi ha annunciato un provvedimento per abbassare le tasse e i contributi alle imprese che assumono, stabilmente, i giovani. La vera partita però si gioca in Europa.

L’intento dell’esecutivo è arrivare al Consiglio Europeo del 27-28 giugno con un piano nazionale già approvato dal Consiglio dei Mnistri “per far vedere – ha spiegato Letta – che facciamo e non chiediamo soltanto”.

Nel frattempo il Governo italiano ha quasi incassato l’uscita dalla procedura di deficit eccessivo, un traguardo vicino ma non scontato.

Raggiungere questo traguardo significherebbe avere tassi d’interesse molto più bassi, oltre che nuove importanti risorse dal’Ue per far ripartire la crescita e l’occupazione: si parla di una cifra tra i dieci e i dodici miliardi di euro, forse più, che potrebbero essere tradotti in investimenti e politiche per il lavoro.

Il fatto che questi fondi siano ‘liberabili’ è una grande notizia per l’Italia ma la Commissione Europea rovina l’aria di  festa con una serie di nuove richieste al nostro esecutivo: chiede di spostare il peso delle tasse dal lavoro (e questo va bene) e di aumentarlo su consumi e patrimonio; in pratica chiede più Imu e più Iva, l’esatto contrario di quanto il nostro governo stava cercando di fare.

 

di Giuseppe de Paoli