MILANO – Il tema del rapporto uomo-tecnologie è stato riassunto mirabilmente da Charlie Chaplin in “’Tempi moderni’’e ancor prima era stato posto dal movimento luddista nato, all’inizio del XXI secolo in Inghilterra, proprio in contrapposizione alla “civiltà delle macchine”.
Quello uomo-macchina è spesso stato un rapporto difficile e non di rado ha creato problemi.
Uno di questi è il tecno stress, una nuova malattia professionale che coinvolge in modo particolare i lavoratori dell’ICT.
I sintomi principali sono gli stessi dello stress generico (mal di testa, ansia, irritabilità, insonnia, depressione) ma il problema si manifesta anche in forme nuove, tipiche dei nostri tempi, come la nomophobia, la paura di non aver segnale di rete; o la ‘tecno-invasione’, che avviene quando il confine tra lavoro e vita privata svanisce e si perde la cognizione del tempo passato sulla tastiera (con conseguenti disturbi di attenzione e ansia).
Alla lista dei tecno disturbi si aggiunge il ‘computer rage’, la rabbia scatenata dai disturbi di funzionamento del pc (che possono provocare una perdita dei dati) o dalla incapacità di “dominare” il computer.
I più esposti al tecno stress e alle tecnodipendenze sono i lavoratori nell’ambito mobile, visto il mix dirompente tra la tendenza alla connettività continua (che si manifesta soprattutto tra gli under 40) e la ripetuta richiesta di ‘flessibilità’ da parte dei datori di lavoro.
Uno studio britannico del 2012 si spinge a sostenere che la ripetuta esposizione a tablet, smartphone, iPad, possa condizionare le connessioni tra neuroni, creando un danno al cervello.
I rischi quindi non mancano.
Se ne sono accorte anche molte aziende, in primo luogo quelle della Silicon Valley che, dopo aver fatto proprio il mantra della connettività continua, ora fanno marcia indietro e incoraggiano i propri lavoratori a stare, almeno alcune ore la settimana, ‘unplugged’ (scollegati).
Le reazioni al fenomeno sono state ancor più decise da parte gli utenti.
Esistono sulla rete molti siti e blog che affrontano la questione e offrono le informazioni utili su come disintossicarsi e, anzi, quelli rientrati nella voce “the art of disconnecting” sono, paradossalmente, tra i più visitati.
Il passo più importante però è riprendere a socializzare “live”, guardarsi negli occhi, cambiar modo di pensare e agire.
Un’ottima mossa per staccare è immergersi nella natura e passeggiare all’aria aperta (senza computer!).
Il web comunque non va demonizzato, anzi deve diventare ancora più accessibile: è vero, infatti, che l’uso eccessivo (o maldestro) delle tecnologie può provocare danni, ma è altrettanto vero che l’utilizzo corretto amplia notevolmente le nostre possibilità nel rapportarci alla conoscenza, all’ambiente, al lavoro.
di Giuseppe de Paoli