ROMA – Il professor Paolo Feltrin dell’Università di Trieste (ma come tende a esplicitare, veneto) da anni si occupa del settore economico terziario. Ha studiato la realtà specifica trevigiana, quella del nordest e poi nazionale, coinvolgendo la ricerca triestina che tra Consorzio, In Nova, e NovaImprese, accanto allo sviluppo di Finest è esempio mirabile di lavoro comune tra lavoro e analisi.
Alla convention UILTuCS, al teatro Brancaccio di Roma, sulla sua piattaforma analitica si è sviluppata la vision collaborativa e avanzata del sindacato Uil del commercio e servizi. Potrebbe meravigliare perché Feltrin, in modo tranchant, non esita con identica voce, davanti all’accademia, ai datori ed al sindacato a presentare una realtà secca.
A partire dall’importanza, che in ogni discorso, oggi hanno i dati (senza cadere nella polemica tra fautori di open data e big data) che sono, come sempre, a rischio di deformazione a vantaggio di analisi e interpretazioni premasticate ed indirizzate ideologicamente.
I dati dicono che il terziario pesa il 70-80% economico a seconda dei paesi e delle regioni europee. Il suo ruolo centrale nella vita economica e sociale cresce di pari passo con il mercato unico globalizzato. Dato fondamentale italiano, ed ancora più tedesco, è l’evoluzione del terziario in connessione al manifatturiero. Se nell’impostazione anglosassone, dominante sui mercati il terziario sostituisce la produzione metalmeccanica ed elettronica che semplicemente si sposta in altre zone, tipicamente asiatiche, in una sorta di gigantesca delocalizzazione, in quella italiana terziario e produzione industriale si intrecciano e per certe parti si fondono, così che lo sviluppo del primo traina anche il secondo. L’Europa che punta all’obiettivo manifatturiero del 20% del Pil per il 2020, lo dovrebbe trovare seguendo l’esempio italiano premiando il restante 80 del terziario.
La voce del lavoro non può privilegiare la discussione dettata dai ritmi della fabbrica produttiva, ma deve, per contarsi e contare, privilegiare l’intera filiera di cui il terziario assume il ruolo più importante, quello di interlocutore finale, sia del cliente che del mercato internazionale. Il terziario pretende una nuova contrattazione, non interna agli storici soggetti di lavoro e capitale, ma tra il loro insieme e all’esterno, definibile come consumatore globale, in senso lato.
L’incapacità italiana di arrivare a questo risultato è il dato terribile del posizionamento del Belpaese, leader induscusso mondiale per cultura umana e materiale, al solo quinto posto tra le località percettive di turismo. Turismo, che come noto, viene conteggiato come export e che resta per il terziario al 15%, rispetto ad un peso globale di Pil del 72%.
Contrattare e bene con il consumatore; rappresentare l’insieme della filiera produttiva e di servizi, senza cadere nelle disquisizioni (distretto industriale o rete d’imprese? Grandi o piccolo-medio imprese?) e trovare l’unione in un terziario, tanto grande, quanto diviso nelle attività.
Non è terziario solo il commercio o l’insieme del business turistico, lo è anche la Pubblica Amministrazione; lo è la banca, lo sono i servizi tradizionali e innovativi alle imprese ed alle persone, lo è la comunicazione. La difficoltà dell’uso di parole diverse, mantenute in vita a scopo divisivo, mantiene in piedi muri tra cose identiche.
Un tempo il terziario avanzato comprendeva le imprese di servizio a elevato fattore tecnologico e ricerca, quelle dell’elaborazione dati (informatica) e della loro trasmissione (telematica). Lo si intendeva come il quarto settore, caratterizzato dall’avanzato know-how tecnico-scientifico, separandolo dagli stessi servizi del terziario, oltre che da industria ed agricoltura.
Le cose sono cambiate. Il terziario avanzato oggi è l’economia digitale che a grandi passi, sta inglobando in sé, larga parte dei servizi pubblici e privati, tradizionali e innovativi alle imprese e alle persone.
Pur restando limitata l’area produttiva dei sistemi digitali (2 milioni di lavoratori in Europa), gran parte degli addetti ai servizi (il 70% degli occupati italiani e l’80% degli occupati al nord), oggi, all’interno di quei sistemi, elaborano e trasmettono dati. Si lamenta giustamente la debolezza politica del lavoro del terziario che non riesce a far sentire la propria voce, tra frammentazione pulviscolare delle imprese e diversità delle tipologie di lavoro.
La realtà presentata dalla ricerca, evidenzia l’integrazione servizi-industria, che è naturale innovazione e facilita l’ingresso delle professionalità; la domanda di internazionalizzazione come sviluppo della distribuzione organizzata e non della burocrazia, la politica del turismo e del patrimonio culturale come una cosa sola, la domanda di formazione continua come ristrutturazione universitaria a favore del lavoro, nuovi welfare e occupabilità a misura degli equilibri demografici della società più anziana. distinguendo tra i naturali poteri centrali e territoriali, che non può ignorare.
C’è un richiamo alla capacità privata delle parti sociali di regolare e regolarsi, dal credito alla concorrenza, dalla produttività al costo del lavoro e al modello a due livelli contrattuale, che si traduce in censura delle cattive scelte politiche e arriva proprio quando la politica sembra voler passare, di nuovo, sopra sindacati e datori.
Feltrin e Uiltucs ci dicono che l’industria tende a far parte del terziario. Il passo successivo è vedere l’identità tra terziario e digitale, dai sistemi di vendita e pagamento globali, alla logistica, vigilanza e sicurezza del lavoro nelle smart cities, alla fusione di servizi virtuali e materiali del turismo, alla convergenza di strumenti e contenuti editoriali e artigianali, alla ricerca di snellezza nell’offerta di servizi per le necessità personali, oggi sottoposte al pesante slalom tra burocrazia e lavoro dequalificato.
E’ il comune piano digitale che può mettere a fattore comune questo peso reale, sottovalutato nella retorica dei dati usati dalla politica e dagli attori più forti. Di tutti i sindacati, la Uil è quello che meno ha inseguito soluzioni e conflitti facili attenendosi al contesto reale, non a quello immaginato, presunto, condannato o sperato.
L’importanza della rappresentanza del terziario presentata dalla UILTuCS ne è un esempio. Solo, però, l’intero campo delle filiere servizi può rivendicare un ruolo nell’unico mercato digitale, che è al tempo stesso avversario, cliente e contraente. Il richiamo nelle tesi confederali ad un’agenda digitale Uil chiama il sindacato al suo ruolo nel mondo del terziario e terziario avanzato, oggi entrambi digitali.
di Giuseppe Mele