Massimo Giordani, classe 1965, architetto, è fondatore della digital agency Time & Mind, direttore del dipartimento Marketing Turistico e Territoriale AISM, membro del comitato scientifico di IRES Piemonte e della Fondazione Organismo di Ricerca GTechnology.
Docente a contratto per il Politecnico e l’Università di Torino, svolge attività di ricerca e divulgazione sui temi dell’integrazione fra il mondo digitale e il mondo “atomico”, sia dal punto di vista sociale, sia da quello economico.
Tra gli hobby: leggere, viaggiare (con un forte predilezione per il Nord-America). Innamorato delle diverse espressioni artistiche dell’uomo, accanito frequentatore di mostre e musei. Autore di pubblicazioni tra cui “Le nuove frontiere del marketing”, “Marketing e valorizzazione territoriale: scenari e opportunità”, “Fashion Branding 3.0” e “Web 2.0”.
L’ultimo social post?
Riguarda un progetto nel settore retail, molto innovativo per l’Italia in quanto consente di fare la spesa settimanale online e di ritirarla nei punti di Torino e Rozzano dove, in meno di 5 minuti, un operatore la porta già imbustata, pronta per essere caricata in auto.
L’ultimo video che hai visto su Youtube?
Sono un accanito fruitore di TED, l’ultimo video è di Kevin Stone: “The bio-future of joint replacement”.
Mac, Windows o Linux?
Per utilizzo personale solo Mac, dal 1985.
L’ultimo acquisto online?
Un paio di dispositivi iBeacons.
Un libro che ha segnato la tua vita?
Godel, Escher e Bach – Un’Eterna Ghirlanda Brillante di Douglas Hofstadter.
Qual è stato il progetto lavorativo che più ti ha segnato?
Direi che ce ne sono molti ma uno in particolare mi è piaciuto davvero tanto e mi ha consentito di aprire nuovi orizzonti: l’ecosistema digitale progettato e realizzato per la Reggia di Venaria Reale nel 2009, con una forte componente social multilingua.
Quando hai deciso di diventare web business analyst?
Non è stata una decisione specifica ma, piuttosto, il normale processo evolutivo di un lavoro fortemente orientato al mondo digitale, prima come consulente, poi come docente universitario e titolare della digital agency Time & Mind.
Nella tua carriera, ha contato più lo studio (da autodidatta o scolastico-professionale) o l’esperienza pratica?
Sicuramente lo studio, da autodidatta nel mio caso perché quando mi laureai in architettura nel 1990 il web esisteva solo al CERN, dove lavorava Tim Berners-Lee. L’esperienza pratica è fondamentale ma va sempre integrata da uno studio continuo.
Il primo colloquio non si scorda mai: hai qualche curiosità da raccontare?
Devo dire di no, avendo sempre svolto un’attività autonoma non ho ricordi di colloqui “memorabili”.
Hai avuto durante la tua carriera professionale un incontro particolare?
Molti, ne cito un paio fra quelli più noti: Gunter Pauli e Derrick De Kerckhove. Ho avuto modo di collaborare con Pauli nell’ambito del corso di studi in Disegno Industriale del Politecnico di Torino e mi ha aperto nuovi scenari con il concetto di “economia blu”. Con De Kerckhove, invece, ci siamo conosciuti in un convegno dove lui svolgeva il ruolo di moderatore e, con l’arguzia che gli è propria, contestualizzò il mio concetto di “ecosistema digitale” con valutazioni semantiche e cognitive molto interessanti.
E un’intuizione vincente?
Sicuramente l’aver capito prestissimo che i social network sarebbero stati molto più di una moda passeggera.
Cosa consigli ai giovani che vogliono diventare web business analyst come te?
Tanta passione, tanto studio, tanta buona volontà. Nel mercato attuale non è facile rendere compatibili questi tre ingredienti in un mix efficace e sostenibile ma ce la si può fare. È un settore che può solo crescere.
Internet ha cambiato il mondo del lavoro in Italia. Come?
Tema complesso difficilmente sintetizzabile in poche battute. Tre concetti-chiave:
– grandi opportunità ancora poco sfruttate in ambito business (siamo indietro su tutti i fronti, a partire dall’e-commerce di cui abbiamo ampiamente perso il treno);
– la Pubblica Amministrazione non ha ancora raggiunto livelli di informatizzazione tali da consentire davvero al cittadino qualunque di ridurre i tempi e i costi della burocrazia. Spesso, la tecnologia è diventata un modo per poter gestire processi sempre più farraginosi, creando ulteriori costi;
– il fenomeno dei social network ha cambiato le abitudini relazionali della maggior parte degli italiani on-line ma prevalentemente per scopi ludici, non è ancora passato il concetto che i social network sono una formidabile opportunità di business, sotto tutti i punti di vista (promozione, brand awareness, e-commerce, CRM…).
Serve un sindacato dei Networkers? Se sì, come te lo immagini?
Probabilmente si e lo immagino più simile a un “partito” che difende l’innovazione e chi la pratica piuttosto che a un sindacato tradizionale.
Descrivi la tua professione in modo chiaro e diretto in modo che anche mia nonna possa capirla.
Aiutare le aziende a crescere grazie alle opportunità che offre l’innovazione digitale.
L’organizzazione ‘classica’ del lavoro (orari rigidi e cartellino da timbrare) ha senso per un networker?
Credo che, in generale, abbia senso per tutti ma non sia più praticabile per nessuno.
Quanti sono i tuoi amici sui socialnetwork, quanti di questi conosci davvero e quanti frequenti anche “off-line”?
Fatto 100 il totale c’è un 90% che non ho mai visto di persona e un 1% che frequento davvero.
Prima di incontrare qualcuno che non conosci fai una ricerca su Google?
Su Google, su LinkedIn, su Facebook…
di Mario Grasso