BYOD: cosa sapere prima di firmare un accordo

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BYOD: cosa sapere prima di firmare un accordo

Il Byod (acronimo di Bring you own device, in italiano vuol dire porta il tuo dispositivo) può essere definito più di un trend tecnologico per aziende ICT, dipendenti e professionisti? Vediamo insieme numeri, opportunità e limiti di questo modello comparso durante i primi anni 2000 con la consumerizzazione dell’IT.

I numeri del BYOD

Dare cifre esatte è molto difficile se non impossibile, soprattutto se cerchiamo dati sull’Italia.

Secondo una ricerca condotta da Gartner tra i CIO di vari aziende mondiali del 2013, saranno il 38% delle imprese a utilizzare entro il 2016 programmi BYOD.

In Italia uno studio Nextvalue sempre del 2013 condotto su 160 grandi aziende italiane mette in risalto come il 43% non abbia una policy sull’uso di dispositivi mobili per i dipendenti, mentre l’86% delle imprese dichiara di restare proprietaria di tablet, laptop, smartphone e altri dispositivi mobili e di farsi carico dei costi di servizio.

C’è anche un’altra ricerca italiana “ottimista”. Se da un lato lo studio condotto da The Innovation Group in gennaio 2013 su 70 aziende evidenzia come l’82% delle aziende permette già o prevede il BYOD, dall’altro lato solo il 7%  dei dipendenti aziendali (in maggioranza manager e professional) sul totale della forza lavoro ha la possibilità di usare dispositivi mobili.

Di BYOD ne avevamo parlato anche nel 2012, in un articolo relativo a una ricerca condotta da Cisco negli Stati Uniti d’America su un campione di 600 manager e responsabili IT: il 95% dei responsabili IT americani ha confermato l’uso degli apparecchi personali sul posto lavorativo, il 76% vede questa iniziativa in maniera positiva per l’azienda, seppur con qualche preoccupazione riguardo alla complessità tecnologica delle reti aziendali.

Come dire, le ricerche sono come i profumi: vanno annusati, non bevuti.

Le opportunità del BYOD

L’utilizzo di dispositivi mobili, aziendali o meno, porta vantaggi sia ai dipendenti sia all’impresa. Sfruttare il BYOD vuole aumentare l’accessibilità mobile, agevolare il controllo da parte del settore IT e consentire ai dipendenti di svolgere il proprio lavoro istantaneamente su qualsiasi dispositivo a portata di mano.

Alla base di questo nuovo approccio, deve starci comunque un cambio di cultura. I responsabili IT di ogni azienda devono condividere con i dipendenti un programma BYOD come un’opportunità.

La flessibilità e la libertà di scelta che il BYOD offre sono utili a far comprendere ai lavoratori come possano svolgere i propri compiti in maniera più produttiva ed efficiente, oltre a raggiungere gli obiettivi aziendali in generale.

Un programma BYOD, secondo il documento di VMWare “Il nuovo BYOD: Best practice per un programma BYOD produttivo”, può semplificare i processi aziendali, dare slancio alle vendite e migliorare il coinvolgimenti dei clienti.

Gli aspetti positivi e i cambiamenti che possono migliorare la qualità del lavoro vanno colti senza tralasciare i lati ancora poco chiari.

I limiti del BYOD

Uno degli aspetti principali su cui si basa la discussione sull’utilizzo di un modello BYOD è la sicurezza dei dati.

Uno studio dell’aprile 2014 realizzato dall’Osterman Research per conto dell’azienda statunitense Centrify su un campione di più di 500 dipendenti di grandi aziende in America del Nord, indica che molti dipendenti stentano a prendere sul serio i programmi BYOD.

Infatti, quasi il 45% ha accesso ai dati sensibili aziendali dai propri dispositivi mobili da reti insicure, come quelle degli aeroporti o dei bar.

Altri freni all’uso di un modello BYOD sono i costi legati all’acquisto di sim telefoniche personali per i dipendenti, più onerose rispetto ai contratti aziendali, le difficoltà legate alla privacy e al diritto del lavoro che incontrano le multinazionali nel realizzare policy BYOD nei Paesi dove sono presenti le filiali.

Da questo punto di vista, è vivo in Italia il dibattito sull’articolo 4 dello statuto dei lavoratori che vieta qualsiasi controllo a distanza dei dipendenti, anche indiretto.

Dal punto di vista tecnologico, l’uso del cloud e il moltiplicarsi di dispositivi è una sfida in termini di competenze e di risorse umane interne alle aziende.

Alcune aziende hanno predisposto dei punti di ritrovo dove i dipendenti possono recarsi in determinati orari per essere assistiti da esperti IT nella connessione dei dispositivi o nella risoluzione di problemi.

Il ruolo della consulenza IT quindi sarà sempre più centrale per aumentare la mobilità aziendale e migliorare l’efficienza di dirigenti e dipendenti.

Come creare un accordo BYOD

Creare una policy e condizioni d’uso chiare è sicuramente il primo passo da fare. Può essere un accordo firmato tra azienda e sindacati a sancire le linee guida per un programma BYOD di qualità e sicuro. Un modello che tenga conto delle preoccupazioni e delle esigenze sia della dirigenza aziendale, sia dei reparti IT e di tutti gli altri uffici.

Alcuni esempi da cui trarre spunti utili per una policy aziendale BYOD sono quella della Casa Bianca americana o lo schema predefinito che il sito web IT Manager Daily offre ai suoi utenti.

Come sostiene Andrea Mezzetti, dello studio legale Baker&McKenzie, le aziende si trovano di fronte all’applicazione di due principi generali: «Da un lato quindi la policy deve fare una distinzione netta tra uso professionale e personale, del dispositivo. Dall’altro devono permettere all’azienda un qualche controllo».

Una pratica che sembra prendere piede è la creazione di due ambienti, uno personale e l’altro aziendale, nel dispositivo grazie all’uso di varie piattaforme in commercio. Anche questo tipo di strada richiede comunque un accordo tra le parti sociali per definire i termini di utilizzo.