Come regolare le piattaforme di crowd working: 3 proposte

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Come regolare le piattaforme di crowd working: 3 proposte

Le dimensioni dell’impatto delle piattaforme di crowd working online dipenderanno dalla reazione dei legislatori.

L’esperienza delle prime risposte governative ha chiaramente dimostrato che le piattaforme, specialmente quelle che operano nel mercato del lavoro locale, non sono andate oltre i risultati dei regolamenti già esistenti.

L’aspetto principale del dibattito riguarda la natura del lavoro sulle piattaforme, specialmente se queste attività rappresentano il lavoro subordinato o no.

In Italia il dibattito verte sul disegno di legge denominato Sharing Economy Act che al momento si basa su un concetto generico di economia della condivisione, include solo delle tutele di natura fiscale e non prevede un rapporto di lavoro subordinato per questo tipo di attività.

In questo senso, la legge europea garantisce diritti ai lavoratori definendo la relazione con l’impiego lavorativo secondo tre criteri: il rapporto subordinato, la natura del lavoro e la retribuzione.

Una Comunicazione della Commissione Europea chiarisce che molti dei ragionamenti più frequenti fatti dalle piattaforme, come quello sulla mancanza di un monitoraggio costante dei lavoratori e che il lavoro non sia continuo, non sono sufficienti a evitare una classificazione del lavoro su piattaforma come un rapporto di lavoro vero e proprio.

Tuttavia, data la precarietà dei lavoratori delle piattaforme di crowd working, i legislatori dovrebbero valutare misure aggiuntive per affrontare i rischi legati al lavoro mediato dalle piattaforme.

Tutela speciale per i crowd worker

Primo, si può affermare che i lavoratori delle piattaforme rappresentano una categoria di lavoratori che ha bisogno di una tutela speciale, simile ai provvedimenti per i lavoratori part-time, a tempo determinato o somministrato.

Questo tipo di tutele potrebbe riguardare anche specifici temi come il diritto a disattivare temporaneamente un account senza un impatto negativo sulla valutazione del lavoratore o una scorretta chiusura o disattivazione dei loro account sulla piattaforma.

Un contratto collettivo per le piattaforme di crowd working

Secondo, i legislatori dovrebbero considerare l’estensione dei contratti collettivi di lavoro a categorie più ampie di lavoratori, includendo anche i lavoratori delle piattaforme.

Tutele digitali per i lavoratori autonomi

Terzo, i lavoratori non classificati come impiegati subordinati dovrebbero essere tutelati attraverso norme sul lavoro autonomo.

La tecnologia offerta dalle piattaforme può concretamente rendere attuabili tali norme: così come consente un monitoraggio efficace sulle micro transazioni, così può farlo sui sistemi assicurativi.

Il monitoraggio tramite piattaforma può aiutare anche il rafforzamento delle norme su salute e sicurezza.

In uno studio del 4 aprile 2016, De Groen e colleghi mostrano come nel caso del vero lavoro occasionale esistano già diverse norme in molti paesi europei.

Nel caso in questione, la legge ha un ruolo importante da giocare per far sì che si rispetti il rapporto di lavoro instaurato a livello occasionale.

Il ruolo delle parti sociali e dei governi

La politicizzazione di questi argomenti apre molte opportunità ai vari attori – inclusi i sindacati, i rappresentanti delle aziende tradizionali e nuove e ovviamente le autorità politiche – per definire le regole del gioco.

Questo processo dovrà necessariamente prevedere l’abbattimento di barriere tra il mercato e la società, tra profitto e welfare e tra commercializzare e incoraggiare la condivisione dello spazio pubblico.

La discussione sulle piattaforme di crowd working online dovrà portare a un dibattito normativo allargato sul tipo di società in cui vogliamo vivere.

Articolo tratto dallo studio ETUI “The platform economy and the disruption of the employment Relationship” di Jan Drahokoupil e Brian Fabo.

Foto: youtube.com