Romano DOC, classe 1979, lavora come consulente ICT per le architetture telematiche con esperienze legate ad una grande varietà di ambienti e situazioni.
Dopo Ingegneria si è iscritto a Lettere per approfondire il lato umanistico di un lavoro tecnico: ripete a tutti che dobbiamo concentrarci di più sulle persone per aiutarle a sfruttare le enormi potenzialità tecnologiche oggi disponibili.
Amante di Star Trek da sempre, guardava Supercar e leggeva Iron Man già alle scuole medie ma la sua passione più grande è viaggiare: andrebbe più volentieri in un ostello alle Hawaii che in un villaggio 5 stelle in Sardegna!
L’ultimo social post?
Un post sul calo delle vendite in casa Apple.
L’ultimo video che hai visto su Youtube?
La cronologia dice una puntata di Peppa Pig in russo ma sospetto che ci sia lo zampino della mia nipotina più piccola…
Mac, Windows o Linux?
Per i desktop: Mac, per tutto il resto: Linux.
L’ultimo acquisto online?
Un regalo per mia moglie.
Un libro che ha segnato la tua vita?
Danny l’eletto di Chaim Potok: mi ha insegnato che servono strutture anche a chi sente di dover “violare le regole precostituite”.
Quale è stato il progetto lavorativo che più ti ha segnato?
Ideare e realizzare l’architettura di supporto agli studenti con disabilità per l’università Roma TRE.
Ho passato settimane a studiare le varie disabilità ed a fare ipotesi prima di incontrare alcuni disabili: i più difficili da aiutare si sono rivelati i disabili temporanei, ad esempio coloro che hanno un braccio ingessato, perché non abituati alla disabilità e quindi non consci delle difficoltà che incontreranno o del modo per superarle.
Ho imparato così che un buon leader deve ascoltare i fatti che hanno un impatto su ciascun membro del team e metterli a fattor comune prima di prendere una decisione correttiva di una situazione o di anticipare una nuova mossa.
E ho scoperto che questo non vale solo nella riduzione delle barriere architettoniche, ha grande importanza per qualsiasi strategia aziendale.
Quando hai deciso di diventare Chief Information Officer?
Non l’ho deciso io: mi hanno chiesto se volevo farlo o se preferivo cercarmi un altro lavoro
Nella tua carriera, ha contato più lo studio (da autodidatta o scolastico-professionale) o l’esperienza pratica?
L’uno non ha mai escluso l’altro: sto studiando di più adesso che lavoro a tempo pieno di quanto abbia fatto durante l’università, quando pure ero impegnato in qualche lavoro part-time.
Il primo colloquio non si scorda mai: hai qualche curiosità da raccontare?
In poste italiane mi dissero che loro valutano gli stagisti ponendo domande non nozionistiche e poi mi chiesero: “Se un mattone pesa un chilo più mezzo mattone quanto pesa?”, io risposi: “dipende da dove metti la virgola” e l’esaminatore si versò un bicchiere d’acqua prima di cambiare argomento.
Hai avuto durante la tua carriera professionale un incontro particolare?
Ho incontrato il Dalai Lama, è un’emozione che non si può descrivere.
Dovevo realizzare un’architettura di video streaming: una volta arrivato ho scoperto chi avrebbe beneficiato del mio lavoro ed un impegno di routine è diventato lo scopo della mia vita per le 2 settimane successive.
Il buon esito dell’impegno è stato un’iniezione di serenità lavorativa che mi ha stimolato a superare tutte le difficoltà degli anni successivi.
E un’intuizione vincente?
Nel 2000 sono passato a Mac.
Studiavo ancora ingegneria, lavoravo in una web tv, provenivo da Linux ed ho creduto che sarebbe stato il sistema operativo desktop del futuro: mi sono ritrovato 5 anni avanti ai miei colleghi e mi ha aperto porte di cui ignoravo l’esistenza.
Cosa consigli ai giovani che vogliono diventare Chief Information Officer come te?
Studiate quello che il vostro capo deve sapere per poter svolgere bene il proprio compito.
Io ho fatto così: mentre facevo il mio lavoro al meglio delle mie possibilità, impiegavo il tempo libero ad acquisire le conoscenze che mi sarebbero servite se avessi dovuto sostituire temporaneamente il mio superiore. Quando è arrivata l’occasione, ho fatto la mia parte e le mie competenze non sono passate inosservate.
Internet ha cambiato il mondo del lavoro in Italia. Come?
Sono arrivato ad Internet dalle BBS e quello che ho visto mi è sembrato subito grande. Grandi spazi di comunicazione, grandi opportunità, grandi rischi.
Internet ha creato nuovi lavori e ridefinito il concetto di spazio e di tempo per le vecchie professioni: sono aumentati gli stimoli per coloro che vogliono fare davvero. I risultati sono più a portata di mano, i fallimenti sono meno traumatici: possiamo rischiare di vedere avverati i nostri sogni.
La conoscenza è finalmente alla portata di (quasi) tutti e l’importante ora diventa imparare a gestire le insidie che si nascondono dietro l’angolo.
Serve un sindacato dei Networkers? Se sì, come te lo immagini?
Assolutamente sì: serve uno spazio in cui gli addetti ai lavori possano confrontarsi tra loro e con il mondo del lavoro non tecnologico (contratti, tutele, pensioni, ecc…) per contribuire a risolvere alcune di quelle insidie di cui parlavamo poc’anzi, non solo da un punto di vista tecnico ma soprattutto legale, giuridico ed amministrativo/contabile.
Come CIO ho imparato che non possiamo essere esperti in tutto: bisogna conoscere i propri limiti e far parte di un team per superarli.
Descrivi la tua professione in modo chiaro e diretto in modo che anche mia nonna possa capirla.
Io scrivo i manuali di istruzione che servono per poter usare al meglio le tecnologie, facendo in modo che si integrino tra loro e con le necessità dell’azienda.
In pratica ti scrivo le istruzioni per chiedere al frigorifero di avvisarti quando sta per iniziare la tua telenovela sudamericana preferita e, mentre la stai guardando, sai come farti dire dal televisore se la lavatrice ha finito il detersivo.
L’organizzazione ‘classica’ del lavoro (orari rigidi e cartellino da timbrare) ha senso per un networker?
Si, deve tutelare il networker dal sovraccarico di impegni: se, al massimo dell’impegno, svolgi troppe ore di straordinario, significa che hai bisogno di altre risorse.
Purtroppo oggi molti networker sono nella situazione contraria: non hanno un lavoro organizzato correttamente, anche perché saltuario o emergenziale, e non riescono a garantirsi una corretta gestione del tempo.
Quanti sono i tuoi amici sui social network, quanti di questi conosci davvero e quanti frequenti anche “off-line”?
I miei contatti sui social network sono tantissimi, forse migliaia, e sono il risultato di eventi casuali come l’iscrizione ad un newsgroup su Linux o ad un gioco online oppure anche ad un forum di crocieristi. Non sono miei amici, sono persone con cui condividere una passione virtuale.
Con gli amici preferisco altri mezzi di interazione: il telefono, diversi tipi di chat, una partita al Risiko di Star Trek.
Prima di incontrare qualcuno che non conosci fai una ricerca su Google?
Quasi sempre.
Se no, perché?
Perché l’ho già trovato su LinkedIn.