Mettiamo assieme un po’ di fatti per capire dove va il futuro del lavoro in Italia e quale sarà il ruolo delle professioni digitali e ad alto contenuto di conoscenze e competenze.
Nella tanto decantata e auspicata società ed economia della comunicazione il peso e il ruolo della componente immateriale del lavoro e delle produzioni si fa sempre più incisivo. Il futuro del lavoro, sembra, sarà di coloro che creano e producono quel prodotto intangibile: i lavoratori della conoscenza. Tant’è che avanza una nuova definizione e, soprattutto, un nuovo concetto di professionisti definiti come talenti. Questa è la corretta definizione di chi presta la propria opera intellettuale alla produzione e all’impresa. Definizione utilizzata molto in ambito datoriale.
Ora, per far crescere davvero i talenti nel nostro Paese e, soprattutto per creare una significativa quantità di posti di lavoro qualificati e ad alto contenuto “immateriale”, bisogna far crescere l’economia digitale e della conoscenza, in primis l’ICT.
Una recente ricerca di cui abbiamo dato conto su NetworkersNews, ha valutato l’incidenza di Internet sul pil del 2 per cento, con 700 mila nuovi posti di lavoro creati negli ultimi 15 anni e con possibilità di crescita ulteriore molto elevate. Ergo: l’economia ICT può svilupparsi, si possono creare centina di migliaia di nuovi posti di lavoro qualificati e in linea con le aspettative delle nuove generazioni e dei cosiddetti “nativi digitali”.
Per far questo sono necessari interventi di tipo infrastrutturale, primo fra tutti, l’investimento sulla banda larga, che secondo molti studi, da sola porterebbe una crescita della nostra economia e della società tutta, sia in termini qualitativi che quantitativi (vedi il nostro SocialStrike), oltre a forti investimenti in cultura digitale e in formazione.
Che succede invece? Stiamo ridimensionando il manifatturiero, anche in termini di ‘appeal’ lavorativo verso le giovani generazioni e allo stesso tempo continuamo ad importare software! Questa contraddizione, se portata alle estreme conseguenze, sarà la rovina e l’impoverimento graduale del nostro Paese. I catastrofismi, a volte, servono a fare la fortuna di chi li predica, e quindi sono di solito scettico sulle cassandre nostrane, tuttavia bisogna guardare sempre in faccia le realtà, e la nostra, purtroppo, ad oggi non promette niente di buono!
Significativi i recenti dati del rapporto della CGIA di Mestre in cui si evidenzia il rischio di perdere circa 380 mila posti di lavoro di tipo manuale e artigianale nei prossimi anni.
Se i giovani hanno aspirazioni professionali e lavorative in linea con i tempi che vivono, e allo stesso tempo non gli vengono offerte loro le possibilità di accesso a queste professioni, il risultato è un pericoloso cortocircuito sociale con conseguenze pericolose, facilmente immaginabili.
Allora, l’agenda occupazionale ed economica dei prossimi anni deve avere un solo nome: digitale. Dobbiamo investire subito nell’economia ICT, nelle nuove tecnologie, nelle conoscenze e competenze del futuro, altrimenti avremo uno scenario verosimile in cui i mestieri artigianali e manuali saranno appannaggio dei cittadini immigrati, le professioni ad alto contenuto di conoscenza e tecnologiche avranno sbocchi solo all’estero, (dal dove importiamo software) e i nostri giovani aspiranti lavoratori della conoscenza che non intendono espatriare vivranno alle spalle delle famiglie, con un forte risentimento verso il proprio Paese e costretti a miseri sussidi sociali, ove previsto. Questo è lo scenario estremo al quale potremmo avvicinarci se non interveniamo subito.
E’ importante che tutti facciano la loro parte. Anche le imprese italiane devono adeguarsi ai cambiamenti in corso, sopratutto dal punto di vista delle aspettative lavorative dei Networkers e dei talenti attuali e futuri. Devono ripensare l’organizzazione del lavoro in funzione della mutazione genetica dei professionisti dell’epoca digitale, prevedendo luoghi e organizzazione del lavoro mobili, connessi, flessibili e accoglienti, capaci di sprigionare la forza creativa delle giovani generazioni di lavoratori della conoscenza.
Non basta, tuttavia, proclamare le buone intenzioni, ma vanno trovati i nodi che bloccano lo sviluppo digitale dell’Italia e sciolti definitivamente.
La via è segnata. Saremo capaci di percorrerla?