Rosario Rizzo – Project manager

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51 primavere alle spalle, ha frequentato il Liceo Scientifico e studiato all’Università di Torino nel corso di laurea in Scienze dell’Informazione. Lavora da circa 25 anni nel mondo dell’informatica coprendo tutti i ruoli tipici (programmatore, analista programmatore, analista, progettista di applicazioni, project manager).
Dal 2003 ha ottenuto il certificato nelle metodologie di PM che applica costantemente affiancando i suoi clienti. Svolge consulenza nelle implementazioni di sistemi informativi di Project Management affiancando le risorse del cliente per applicare al meglio strumenti e metodologie di PM.
E’ inoltre Socio Fondatore e Vice Presidente del consorzio no-profit European School of Project Management.
Appassionato di lettura e con una curiosità innata su tutto quanto è innovativo. Scrive sul suo blog Project & Time Management rinorizzo.com.

 

L’ultimo social post?
Un tweet stamattina di segnalazione di un post di Cristina Mariani che affermava di Imparare a Vendere vuol dire imparare a scrivere (per il web)

L’ultimo video che hai visto su Youtube?
Il videoclip di Crozza su Bossi seduto sulla panchina (stile Forrest Gump) che alla domanda degli studenti “Ma quali riforme ha fatto?” rispondeva “vuoi un cioccolatino?”

Mac, Windows o Linux?
Tutti. MacBook Pro al massimo dell’espansione su cui faccio girare istanze di Windows 7 e Windows Server. Sul divano uso l’iPad 2. Linux su due vecchi PC per attività di test.

L’ultimo acquisto online?
Un hard disk esterno della Western Digital che implementa un private cloud di 3 terabytes collegato semplicemente al mio router ADSL. Mi permette di avere a disposizione quando sono in giro gli ultimi dieci anni di attività. In pratica la mia knowledge base personale.

Un libro che ha segnato la tua vita?
Consiglio a tutti di leggere il best seller “Chi ha spostato il mio formaggio” o di cercare la presentazione su Slideshare “Who moved my cheese”. Credetemi, ne vale la pena. Sono un divoratore di libri, leggo dappertutto. Penso che ogni libro, anche quelli meno felici, insegnano qualcosa.

Qual è stato il progetto lavorativo che più ti ha segnato?
Il mio primo lavoro da programmatore nel lontano 1984. Programmazione Assembler e poi Pascal su un vecchio sistema a 16 bit della Texas Instruments per sviluppare un gestionale per una Finanziaria. Un’esperienza formativa bellissima che mi ha aperto quella che penso sia stata un’ottima carriera nell’informatica.

Quando hai deciso di diventare project manager?
Non c’è stato un momento preciso. Crescendo come tecnico pian piano ho cominciato a coordinare due, tre e poi più risorse su progetti di sviluppo software. All’epoca (primi anni novanta) i Project Managers si chiamavano Capiprogetto e della metodologia si sapeva ben poco se non nelle grandi aziende e nelle società di consulenza. Alla fine del 2003 ho preso la certificazione PMP del PMI, a seguire la Prince2 e ISIPM. Da alcuni anni mantengo la certificazione MCTS Project Professional. Attualmente oltre a fare formazione sul Project Management e sulla piattaforma Microsoft Project, svolgo parecchia attività di coaching presso il cliente per aiutarlo a mettere in pratica la metodologia di PM e gli strumenti che insegno. Trovo soddisfacente lavorare con le persone e soprattutto con i giovani”.

Nella tua carriera, ha contato più lo studio (da autodidatta o scolastico-professionale) o l’esperienza pratica?
Tutte e due. A parte l’esperienza universitaria, negli ultimi 25 anni ho studiato continuamente da autodidatta aggiornandomi sui vari aspetti del mio lavoro e cercando di precorrere i tempi e tenermi pronto a cambiare mestiere. L’esperienza è altrettanto importante ma senza solide basi culturali e di competenze secondo me non si va da nessuna parte, visto come è cambiato il mondo.
Umiltà, impegno e flessibilità penso che siano imprescindibili per andare avanti.

Il primo colloquio non si scorda mai: hai qualche curiosità da raccontare?
Si, ero appena arrivato a Torino per l’università ed avevo risposto ad un annuncio per un posto di programmatore. In pratica si trattava di un test “Barriera Attitudinale” somministrato ad una quindicina di persone in cui ad un certo punto dovevi contare dei simboli piccolissimi e molto simili tra loro in cinque minuti. Il tutto con una musica assordante ed in cui l’esaminatore faceva interviste veloci e a bruciapelo per farti perdere la concentrazione. Non ho passato il test!!!

Hai avuto durante la tua carriera professionale un incontro particolare?
Molti. Facendo il Freelance dal 1991, in venti anni ho conosciuto migliaia di persone e alcuni erano personaggi notevoli. Ricorderò sempre l’ing Mario Argano, “grosso” (nel senso che pesava 150 chili) consulente di Marketing che mi ha introdotto nel mondo del marketing e da cui ho imparato parecchie cose. Aveva la caratteristica di usare un linguaggio molto colorito ma riusciva a farsi capire anche dagli stupidi e vi posso garantire che ne abbiamo conosciuti molti nell’ambiente bancario dei primi anni ’90 quando in banca la parola Marketing non sapevano nemmeno cosa volesse dire. Ma ho conosciuto anche altri bei personaggi che mi hanno arricchito di competenze e forse anche di saggezza.

E un’intuizione vincente?
Forse quella di capire prima della problematica “Anno 2000” che l’informatica era cambiata e che non avrebbe dato più molte soddisfazioni. E’ da quel periodo che ho cominciato a guardare altri mondi e la scelta è poi caduta sul Project Management e alla fine ci ho azzeccato. Internet e le nuove piattaforme di sviluppo hanno stravolto il vecchio paradigma dell’informatica. Anche in questi giorni penso di vivere una “intuizione vincente” e spero che lo sia, visto i tempi che viviamo. Ma questo ve lo racconterò tra un paio di anni 🙂

Cosa consigli ai giovani che vogliono diventare project manager come te?
L’ho già detto prima: umiltà, impegno e flessibilità. Aggiungerei la conoscenza perfetta di almeno due lingue straniere. Non devono aspettare che altri si preoccupino di loro aspettando chissà cosa. Non arriverà nulla. Quello che vogliono devono andarselo a prendere (e spero che sia in Italia).

Internet ha cambiato il mondo del lavoro in Italia. Come?
A 360 gradi. Dal momento in cui la società si è spostata sempre di più da un approccio industriale (beni) ai servizi (informazioni) e quindi trattamento di informazioni digitali, la possibilità di connettersi a costo basso o nullo ha stravolto tutto. E chi ancora non si è adeguato forse ha i giorni contati o è già estinto.
Ricordo ancora da giovane i tempi del Telex, quando gli scambi commerciali avvenivano per telefono, posta cartacea e per chi era innovativo con il Telex (chissà se qualche giovane che sta leggendo queste righe ha mai sentito parlare del Telex).
Dopo è arrivato il Fax. Che straordinaria invenzione! Gli scambi commerciali sono cresciuti a livelli mai visti prima. Nel 1993 ho avuto il mio primo incontro con Internet (velocità bassissima, tutto o quasi a caratteri con pochissima grafica) e già da allora si è visto quali potenzialità aveva (all’inizio solo con la Posta Elettronica).
Porto un piccolo esempio che può far capire come è cambiato anche il modo di “cercare il lavoro”. Oggi, quando un’azienda cerca del nuovo personale, prima di visionare i candidati (anche proposti dalle agenzie di Selezione del Personale), fanno delle ricerche su Internet per vedere se il candidato ha una “storia” sulla rete. Se quello che trovano non piace, allora il curricula del candidato viene buttato nel cestino senza dargli la chance di un colloquio.
Non faccio altro che dire ai giovani con cui lavoro di fare attenzione a quello che scrivono sui Social Networks.

Serve un sindacato dei Networkers? Se sì, come te lo immagini?
Non saprei, sinceramente. Quello che trovo molto utili sono le Communities orientate a supportare esperienze ed esigenze degli iscritti. Personalmente non ho una buona impressione dei Sindacati come concepiti ed evoluti in Italia negli ultimi 50 anni, di conseguenza non sarei favorevole (e me ne terrei alla larga) se l’approccio fosse quello classico di un sindacato di categoria. Abbiamo visto a cosa ci hanno portato in Italia i corporativismi.

Descrivi la tua professione in modo chiaro e diretto in modo che anche mia nonna possa capirla.
Insegno alle aziende ed organizzazioni a lavorare organizzati e con buon senso per produrre prodotti e servizi. Aiuto i clienti a come si possono tenere i costi ed i tempi sotto controllo nei progetti e commesse e spiego come si utilizzano i programmi informatici che è meglio usare per le loro attività.

L’organizzazione ‘classica’ del lavoro (orari rigidi e cartellino da timbrare) ha senso per un networker?
Direi di no, ma sempre garantendo la possibilità al cliente/fornitore di essere rintracciati almeno in una fascia oraria comune al mondo del lavoro “classico”. Lavorando sempre più per obiettivi (di tempi, costi e qualità) nelle consegne dei lavori, il posto di lavoro e gli orari possono essere strutturati come meglio si crede. Anche io a volte “sfaso” gli orari ed i giorni di lavoro, ma garantendo sempre la puntualità e la qualità di quanto consegno.
Ma la maggior parte delle professioni non consente molta libertà e flessibilità tipica dei lavoratori autonomi o in genere nel lavoro a contratto.

Quanti sono i tuoi amici sui socialnetwork, quanti di questi conosci davvero e quanti frequenti anche “off-line”?
Non sono un fanatico delle connessioni nei social networks. Ho un’attività minimale su Facebook e qualcosa di più su Twitter. Curo abbastanza i rapporti su LinkedIn e penso di avere ad oggi rapporti “off-line” con sei dei contatti ottenuti sempre su LinkedIN. Con un paio di questi ho anche sviluppato del business.

Prima di incontrare qualcuno che non conosci fai una ricerca su Google?
Si, sempre. In caso contrario, se qualcuno di mia fiducia me lo segnala, mi esemplifica anche chi è e come si comporta.

 

di Mario Grasso