E per la prima volta nella sua vita andò nel luogo ove nascono i sogni

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Tutte le volte che si parla di intelligenza artificiale mi viene un nodo alla gola, perché mi torna alla mente il bambino “mecha” di A.I., interpretato magistralmente dal “transumano” Haley J. Osment.

Abbandonato in un bosco, il piccolo mecha cercherà fino alla fine dei suoi giorni sempre uguali il modo di diventare un bambino vero, fiducioso nell’aiuto miracoloso di una improbabile Fata Turchina. E solo sul finire del film, come recita la voce fuori campo, “per la prima volta nella sua vita andò nel luogo dove nascono i sogni”.

Così, anche le macchine hanno un’anima… Alcuni lo ritengono possibile, tendenzialmente in termini di “emergenza” da strutture materiali sempre più complesse e sofisticate come quelle che la biomeccanica e le nanotecnologie ci consentono già oggi di “mettere al mondo”. Ma che i robot siano anche capaci di amare… La cosa fa ancora sorridere i più.

Però, quando si varca la soglia del laboratorio di Hooman Samani della National University of Singapore ci si accorge che il confine fra realtà e immaginazione non è poi così marcato e che le emozioni “troppo umane” del David di Spielberg-Kubrick, una sorta di rivisitazione high-tech della favola di Pinocchio, fra qualche anno potrebbero davvero mettere seriamente alla prova la nostra capacità di discernere l’umano da ciò che lo sembra ma non lo è ab origine.

Samani e colleghi da anni studiano infatti, avvalendosi dei progressi nel campo dell’intelligenza artificiale, il modo di riuscire a simulare i sistemi biologici e psicologici alla base delle nostre emozioni.

Ed è proprio di pochi mesi fa la notizia che ci sarebbero riusciti con “Lovotics”, una macchina equipaggiata con una versione artificiale degli “ormoni dell’amore” (ossitocina, dopamina, serotonina, endorfine), i cui livelli sono in grado di aumentare o diminuire nel sistema artificiale in associazione allo stato affettivo del robot, con conseguenze tangibili in termini di comportamento manifesto. vedi Lovotics la scienza dei robot che sanno amare

Questi “robot emotivi” sono dotati di un sistema sofisticatissmo che consentirebbe loro di monitorare i propri stati interni, oltre a rilevare più banalmente le manifestazioni affettive degli esseri umani coi quali entrano in relazione, a partire dal monitoraggio di indicatori quali l’espressione del volto, il tono della voce, la pressione del sangue, la temperatura corporea, i gesti, la prossemica, insomma tutto quanto attiene alla comunicazione verbale e non verbale alla base della nostra capacità di interagire… con un’altra persona!

In funzione degli stimoli che riceve, il robot sarebbe in grado di rispondere ricambiando la persona che ha di fronte con espressioni di felicità e simpatia, ma anche – se è il caso – di noia, disgusto, gelosia, rabbia e un ventaglio di altre emozioni squisitamente umane. Quanto sembra lontano Turing e il suo famoso test.

Vedi scheda Intelligenza Artificiale