Se non hai l’X-Factor non puoi lavorare alla Apple!

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MILANO – Il marchio Apple evoca qualità, innovazione, anticipazione del futuro. Coloro che acquistano prodotti della “melamorsicata” non sono semplici clienti: sono fans. Il rapporto tra azienda e clienti, nel fenomeno creato dallo scomparso Steve Jobs, è quasi messianico.

La stessa qualità di prodotto, tuttavia, riguarda anche l’organizzazione e le condizioni di lavoro che producono quella tecnologia di qualità? Da un po di tempo a questa parte il mito Apple sembra vacillare proprio sul fronte del lavoro. Le pesanti accuse che arrivano dalla Cina, in particolare dalle denunce sulle condizioni di lavoro in quel colosso del manifatturiero tecnologico che è la Foxxcom (1 milione e 200 mila dipendenti), che produce e assembla gli i-Phone oltre a vari prodotti high tech, hanno suscitato molto scalpore.

Non ci sono solo le denunce sulle gravi condizioni di lavoro alla Foxconn, dove in questi anni si sono verificati numerosi suicidi come denunciato più volte dal China Labor Wach e rilanciato dalla recente inchiesta del “Times”. La questione si sta allargando a macchia d’olio e riguarda non solo l’ambito produttivo manifatturiero ma anche il retail: gli store in cui i prodotti Apple sono venduti.

SCIOPERO ALLA APPLE TEDESCA – E’ notizia di oggi che in Germania i dipendenti degli Apple Store accusano la multinazionale di imporre dure condizioni di lavoro (come riportato dall’Ansa). La denuncia arriva da una rappresentante sindacale, Victoria Sklomeit, del potente sindacato dei servizi tedesco (Ver.di) che denuncia come negli 8 Apple Store teutonici “i dipendenti sarebbero continuamente esposti allo stress, costretti a turni straordinari e non protetti contro i rischi che provengono dalla rumorosità degli Store”. I dipendenti della Mela in Germania hanno deciso di costituire la prima rappresentanza sindacale a Monaco.

E IN ITALIA? – Anche la situazione nel Belpaese, a ben vedere, non sembra tutta rose e fiori. La vicenda dell’Apple Store di Grugliasco (Torino) sembrerebbe confermare che la filosofia del lavoro alla Apple qualche interrogativo lo pone. Il Corriere delle Sera ha riportato la vicenda di tre dipendenti che hanno raccontato la loro esperienza: in sostanza, prima che finisse il periodo di prova allo Store di Grugliasco, sono stati licenziati. Fin qui tutto nella norma. Il punto, che ha lasciato perplessi, riguarda le modalità del licenziamento. “Il problema – spiega Marco Savi, 42 anni, uno dei licenziati – è che nessuno si è degnato di darci una motivazione valida. Mi hanno solamente detto che non rivolgevo ai clienti un saluto caloroso e che non ero allineato al pensiero Apple. Infine – aggiunge Savi – ci hanno addirittura chiesto di uscire dalla porta posteriore”. Marco Savi non riesce a capire le ragioni e riporta la situazione interna allo Store, riportatagli a sua volta dagli ex-colleghi, i quali avrebbero riferito che “al lavoro c’è un atmosfera molto tesa”.

La storia si è ripetuta identica anche per Alessandro Montagner, 22 anni, anche lui licenziato prima che finisse il periodo di prova (così come riportato da La Stampa): “Un giorno sono stato convocato in ufficio e mi hanno annunciato l’intenzione di non riconfermarmi. Nessuno mi ha spiegato i motivi”. Tra l’altro, anche ad Alessandro è stato chiesto di uscire dal retro ma lui ha reagito in questo modo: “ho preferito andarmene dalla porta principale a testa alta”.

Noi, abbiamo provato a sentire direttamente qualche dipendente degli Apple Store in Italia chiamando ai centralini degli Store di Firenze, Milano, Caserta e Bologna e la risposta dall’altra parte della cornetta è stata pressoché univoca: “non possiamo dire nulle, contattate la società o il nostro ufficio stampa”. Ovviamente, non ci aspettavamo al telefono reazioni particolari, ovvero dichiarazioni di conferma di una situazione negativa negli Store italiani, ma non ci hanno nemmeno detto il contrario.

L’APPLE FACTOR – Quindi, ricapitolando, se si vuol lavorare in un Apple Store o in generale in questa prestigiosa multinazionale high tech, bisogna possedere nel proprio curriculum vitae una caratteristica molto precisa: l’Apple Factor altrimenti ribattezzato l’X-Factor.

Di cosa si tratta? L’ho spiega Ron Johnson, ex vice presidente del retail Apple come riportato da www.melamorsicata.it: “Quando un utente entra in un Apple Store viene accolto in un ambiente familiare dove i dipendenti non sono spinti a vendere a tutti i costi, ma a consigliare l’utente. Il dialogo avviene con toni simpatici, quasi in un clima di amicizia, spingendo l’utente a non tradire quel legame e ritornare nel negozio in caso di necessità”. Probabilmente è questo l’Apple Factor soprattutto per ciò che riguarda la relazione con il cliente.

Ma qual’è, invece, la parte dell’Apple Factor che ispira l’organizzazione del lavoro negli Store, nella Company e nella produzione manifatturiera? In questo caso, forse, per adesso è più appropriato parlare di X-Factor, di incognita. Altri segnali, raccolti sporadicamente, raccontano di qualche sciopero in America per presunti straordinari non pagati e in Rete qualcuno ricorda anche la (presunta) filosofia di Jobs che, sembra, “chiedesse ai suoi programmatori turni di lavoro che non comprendano il sonno”.

A questo punto, dopo tutto quello che sta emergendo in queste settimane, la questione va approfondita.

 

di Filippo Di Nardo