MILANO – La Corte di Cassazione, nel convalidare il licenziamento per giusta causa di un dirigente bancario, ha stabilito che l’azienda può controllare la posta elettronica del dipendente nel caso che i controlli siano finalizzati a trovare riscontri a comportamenti illeciti del dipendente stesso.
Una sentenza importante che ribalta pronunciamenti precedenti, come quello del 25 febbraio 2010 (sentenza 4375 della Cassazione) che ribadiva il divieto per le aziende di spiare i dipendenti che navigano sul web durante le ore d’ufficio, o il pronunciamento del garante delle comunicazioni nel 2009.
LE MOTIVAZIONI – L’ ultimo pronunciamento della Corte di Cassazione ( sentenza 2722 del 23 febbraio 2012 ) detta nuove norme ritenendo legittimo, in alcuni casi, il controllo della posta “se destinato ad asserire un comportamento che pone in pericolo l’immagine” dell’azienda presso terzi.
Va precisato che nella sentenza in questione il lavoratore era accusato d’avere divulgato tramite messaggi di posta elettronica, diretti a estranei, notizie riservate relative a un cliente della banca e di avere svolto, tramite la propria posta, operazioni finanziarie da cui aveva tratto vantaggio personale.
CONTROLLO ‘DIFENSIVO’ – La sentenza ha ammesso i controlli della banca ritendoli ‘’diretti ad accertare la perpetrazione di eventuali comportamenti illeciti, poi effettivamente riscontrati”.
Il controllo delle mail aziendali era di natura difensiva, ha sostenuto la Corte di Cassazione, perche’ “non riguardava l’esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro, ma era destinato ad accertare un comportamento che poneva in pericolo l’immagine dell’istituto bancario”
In questo caso, secondo la Corte era entrato in gioco ” l diritto del datore a tutelare il proprio patrimonio che era costituito non solo dai beni aziendali, ma anche dalla propria immagine esterna, così come accreditata presso il pubblico”
I LIMITI – Una possibilità, quella dei controlli ‘difensivi’ che pero’ può applicarsi solamente in casi particolari e ha dei limiti precisi.
E’ la stessa Corte di Cassazione infatti a ricordare che “la possibilita’ di tali controlli si ferma davanti al diritto alla riservatezza del dipendente al punto che la pur insopprimibile esigenza di evitare condotte illecite da parte dei dipendenti non può assumere portata tale da giustificare un sostanziale annullamento di ogni forma di garanzia della dignita’ e riservatezza del lavoratore”
di Giuseppe de Paoli