MILANO – Un personale di talento può favorire il successo di un’azienda e, al contrario, una gestione superficiale delle risorse umane può creare molti danni e persino minacciare la sopravvivenza stessa dell’azienda.
Un fatto questo di cui sono sempre più consapevoli i responsabili human resources delle aziende e, più in generale, molti manager delle stesse: un convincimento che si sta diffondendo sempre più rapidamente in Italia, sull’onda di quanto avviene nella maggior parte dei paesi europei.
Ma come si identifica un talento, come si attrae e come si ‘trattiene’ in azienda?
Un’ interessante ricerca di InfoJobs.it, società recruiting online (www.infojobs.it) cerca di rispondere a queste domande: indagando su un campione di 106 aziende italiane medio-grandi (spesso con oltre 1.000 dipendenti) i ricercatori hanno approfondito il significato dato al concetto di talento in Italia, e prodotto altri dati interessanti.
IDENTIFICARE I TALENTI – Secondo la maggior parte delle aziende interpellate le caratteristiche essenziali del talento sono legate alle competenze tecniche (35% del campione) alle attitudini caratteriali (29%) e alla leadership (36%) in secondo piano sono stati indicati gli aspetti valoriali e le precedenti esperienze professionali. Un mix particolare non facile da realizzarsi.
TALENTO INNATO O SVILUPPABILE? – L’altra domanda affrontata nella ricerca e se il talento sia una dote riservata a pochi o una capacità più diffusa che va aiutata a uscire.
“In letteratura coesistono concezioni diverse, spesso opposte, del talento – riassume il prof Francesco Vernier dell’Università di Trieste:c’è chi lo considera come una risorsa rara posseduta da pochissimi eletti ‘predestinati’ che l’azienda deve coltivare e sviluppare contendendoli ai competitor e chi ritiene che ognuno possieda un potenziale elevato in determinati ambiti e che tocchi proprio alle politiche di talent management favorirne l’espressione”.
Quest’ultima visione del talento è stata dominante tra le imprese italiane: il 77% delle aziende considera, infatti, il pool di talenti come un gruppo aperto, dinamico, da cui si entra o si esce secondo l’acquisizione (e il mantenimento) di determinate caratteristiche e competenze critiche, che vanno sempre supportate attraverso, appunto il talent management.
L’indagine ha prodotto altri dati interessanti.
INVESTIRE SUI TALENTI – Un dato indicativo è la correlazione positiva tra l’utilizzo di pratiche esplicite di Talent management (gestione del talento) e le performance dell’impresa sui mercati.
Le aziende con un buon sistema di TM sono quelle che hanno meno risentito della crisi: gli investimenti in capitale umano hanno prodotto un reale impatto sui risultati di mercato dell’impresa e sulla capacità della stessa di far fronte alle sfide sempre più difficili del mercato del lavoro.
GESTIRE I TALENTI – Un altro dato rilevante è quello dei più alti punteggi assegnati alle politiche di TM (le azioni per attrarre e mantenere personale molto qualificato nella propria società) quando il compito è stato attribuito direttamente ai manager e non solo ai responsabili HR: risultati migliori quindi con un coinvolgimento diretto della gestione aziendale (è successo nel 38% delle aziende intervistate).
LO SKILLS SHORTAGE – La ricerca ha inoltre focalizzato l’attenzione sul contraltare del talento: cioè lo skill shortage (letteralmente la mancanza di abilità), la difficoltà a trovare persone adeguatamente preparate per il mercato del lavoro.
Un fenomeno in parte fisiologico determinato dalle uscite di personale competente non sempre rimpiazzabile facilmente.
Il 41% degli intervistati s’è detto convinto che “la propria azienda non riuscirà a evitare fenomeni di skills shortage ed è risultato che i talenti difficili da “sostituire” non riguardano solo top e middle management (26%) o tecnici specializzati (20%) che sono i tradizionali referenti dei sistemi di TM, ma anche impiegati (26%) e operai (6%).
Una testimonianza – sottolineano i ricercatori – dell’alta complessità dei processi produttivi delle aziende nonchè di un’inadeguatezza del sistema scolastico ed universitario italiani rispetto alle esigenze delle imprese”.
IL TALENT MANAGEMENT – Il Talent Management sarebbe un ottimo antidoto contro lo skills shortage, ma resta molto da fare per il suo sviluppo in Italia, soprattutto se ci confrontiamo con i paesi anglosassoni dove è nato: cresce però nel nostro Paese – e anche la ricerca lo conferma – la consapevolezza della centralità del talent management, quale pilastro forte delle performance dell’impresa.
di Giuseppe de Paoli