Ci sono diversi tipi di piattaforme collaborative che stanno producendo diversi effetti sul mercato del lavoro.
Da lavoro subordinato a lavoro autonomo
In primo luogo, le piattaforme collaborative consentono un passaggio dal lavoro subordinato a un lavoro autonomo.
Questo probabilmente è il cambiamento più radicale e che sta avendo un impatto maggiore sulle dinamiche lavorative.
Inoltre, alcune piattaforme di successo (vedi Uber ma anche l’italiana CoContest per architetti e interior designer) hanno già riorganizzato settori in cui già erano presenti forme di auto impiego.
Esternazionalizzazione
Secondo, le piattaforme possono facilitare la fornitura da remoto di servizi e consentire un’esternalizzazione di lavoro dal mercato locale.
Riprendendo CoContest, per esempio, che fa incontrare designer serbi con clienti statunitensi o arabi.
In sintesi, ci sono piattaforme che si dedicano a riorganizzare l’incontro di attività che sono già organizzate sulle basi del lavoro autonomo pur restando in ambito locale; altre che esternalizzano lavoro da lavoratori subordinati che potrebbero svolgere le proprie mansioni a livello locale verso lavoratori autonomi che vivono in aree “low-cost”.
Aumento della competizione
Terzo, le piattaforme aumentano la competizione abbassando le barriere all’ingresso, anche se riorganizzano solamente il lavoro autonomo, forzando sulla retribuzione e le condizioni di lavoro.
Mercatizzazione del lavoro
Quarto, i meccanismi di reputazione usati dalle piattaforme collaborative contribuiscono ancor di più alla mercatizzazione del mondo del lavoro.
Gli atti di elemosina prima e di vanto poi da parte – per esempio – di alcuni accademici, giornalisti freelance o creativi sono una caratteristica principale del lavoro su queste piattaforme collaborative di lavoro.
Lavoro “spezzatino”
In ultimo, le piattaforme possono facilitare un aumentare della scomposizione di attività lavorative in compiti individuali, differenziati tra quelli che richiedono un lavoro “di testa” altamente specializzato e creativo e un lavoro “di mani” lasciato agli altri.
Le piattaforme possono così contribuire all’aumento della precarietà. Per esempio, l’uso eufemistico del termine “partner” da parte di Uber per parlare dei suoi lavoratori è un chiaro segnale di una pratica conosciuta da tempo come “falso lavoro autonomo”.
Foto: ethankamphaus.files.wordpress.com