Gig economy in Italia: cosa fare dopo il Deliverance Strike Mass?

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Gig economy in Italia: cosa fare dopo il Deliverance Strike Mass?

Abbiamo partecipato alla Deliverance Strike Mass di sabato 15 luglio a Milano organizzata da Deliverance Milano, gruppo di rider e precari autorganizzati e autonomi del capoluogo lombardo.

Alcune riflessioni sull’evento (e non solo) potrebbero essere utili per alimentare il dibattito sulla gig economy in Italia.

L’evento, i numeri, i media

L’iniziativa ha visto come punto di partenza e di arrivo Piazza XXIV maggio a Milano, il cuore – a detta degli organizzatori – della città che nei decenni passati protestava per avere più diritti sul lavoro e che oggi invece sembra abbia subito una trasformazione radicale.

La piazza è oggi anche uno dei punti di ritrovo dei rider della gig economy a Milano. Uno di quei posti dove i fattorini attendono la notifica della propria app per arrivare nei ristoranti/pizzerie/farmacie, prendere la consegna e portarla al consumatore.

Se dovessimo guardare solo alla partecipazione numerica dei rider alla Deliverance Strike Mass, potremmo dire che non è andata molto bene.

Consideriamo inoltre l’aggiunta di un gruppetto di rider provenienti da Torino (cioè, alcuni di quelli che hanno cominciato le proteste lo scorso novembre con Foodora e oggi passati a Deliveroo) e alcuni simpatizzanti, ad occhio sono arrivati a un totale di circa 50-60 persone nel momento di picco della manifestazione che si è avuto durante la fase iniziale della biciclettata.

La partecipazione è stata sicuramente inferiore alle attese.

Ricordiamo che la manifestazione riguardava tutti i fattorini delle principali app del mondo delivery in Italia: Foodora, Deliveroo, Just Eat, Glovo e Uber Eats.

Tuttavia, bisogna notare come gli organizzatori abbiano ridato vita alla protesta dei lavoratori delle consegne a domicilio, dopo che lo scorso autunno a Milano, proprio i rider torinesi di Foodora provarono a coinvolgere i colleghi del capoluogo lombardo ma senza grossa fortuna.

In tutto ciò, bisogna anche aggiungere l’aspetto mediatico che ha già giocato in questi ultimi mesi un ruolo importante.

Sappiamo che la bolla è scoppiata grazie al caso Foodora l’anno scorso. Da lì in poi si è creato un dibattito pubblico altalenante sulla gig economy – tra video inchieste, eventi, articoli di giornale – che probabilmente ha giocato a favore anche dell’iniziativa organizzata dal gruppo Deliverance a Milano il 15 luglio.

Nonostante ciò, e probabilmente anche a causa delle comunicazioni aziendali fatte ai rider prima dell’iniziativa, si poteva ottenere un maggior coinvolgimento.

I sindacati, la politica e i fattorini della gig economy

Forse è la parte più delicata e complessa del tema. Alla manifestazione hanno partecipato – senza bandiere, spille o simboli vari – (oltre a noi) anche alcuni sindacati di base e dei rappresentanti politici milanesi di sinistra.

Sarebbe interessante capire oggi quanto siano vicini al movimento Deliverance Milano. Quando iniziarono le proteste dei rider di Foodora nel novembre 2016, i SI Cobas furono accanto ai fattorini per cercare di assisterli e organizzare un incontro con l’azienda che si rifiutò di parlare con la rappresentanza sindacale.

Sembra comunque anche oggi – a distanza di mesi e senza grossi risultati nonostante il rumore mediatico – difficile avere un dialogo tra i rider e i sindacati tradizionali.

Vuoi la crisi generale di rappresentanza sia politica sia dei corpi intermedi, vuoi un certo racconto del mondo dell’economia dei “lavoretti” che non aiuta il dialogo, sarà difficile trovare uno spazio di confronto se non ci si apre in maniera schietta l’un l’altro.

Deliverance Milano ha annunciato un’assemblea pubblicata per settembre. Sarà l’occasione per condividere le buone intenzioni che animano rider, sindacati e politica aldilà delle sigle e delle bandiere?

Si potrà lavorare in un’ottica partecipativa prendendo esempio dai paesi scandinavi dove parti sociali, governi e imprese sono seduti attorno a un tavolo per disegnare le politiche delle piattaforme di lavoro online?

D’altronde, volendo fare qualche domanda un po’ più precisa, sarebbe interessante capire: a chi appartiene la società DS XXXVI Italy S.r.l.? Quale CCNL applica ai suoi dipendenti? A quali sindacati ha scritto eventuali comunicazioni sulla rappresentanza dei lavoratori?

Qualora ci fossero i presupposti per applicare il CCNL del terziario o stabilire un accordo economico collettivo ad hoc per i rider di una o più società di delivery, si potrebbe pensare di fare parte (attiva) dei sindacati che hanno firmato il suddetto contratto collettivo per rivendicare i propri diritti per un lavoro (non lavoretto) che merita le giuste tutele.

Riflessioni sul futuro della gig economy in Italia

Resta ancora difficile tracciare un percorso preciso sulla gig economy in Italia.

Un aspetto positivo è sicuramente l’interesse crescente da parte delle istituzioni a livello europeo e nazionale, dei sindacati e dei lavoratori.

Le note dolenti sono legate sempre ai numeri: nonostante l’interesse in aumento sul tema, sono ancora poche le persone consapevoli del fenomeno della gig economy. La partecipazione alla Deliverance Strike Mass è un esempio lampante.

Forse i lavoratori della gig economy non sono consapevoli di far parte di questo fenomeno, forse vige il ragionamento “l’importante è che mi paghino”.  Tutto il resto non conta.

Come spesso accade oggi – in tempi di disintermediazione – sono solo pochi quelli che animati da uno spirito critico si lanciano in proteste contro determinati nuovi modelli di business.

Ci può essere anche il rischio concreto che sia una discussione per “addetti ai lavori” tra accademici, sindacalisti e legislatori mentre fuori il mercato crea e distrugge il lavoro in tempi così rapidi che trovare soluzioni diventa un mero esercizio di stile?

Trovare una soluzione unica è in sostanza impossibile. Ogni piattaforma ha la sua storia, il suo algoritmo, le sue dinamiche lavorative.

Se da un lato abbiamo già alcune proposte pratiche (le app come agenzie di intermediazione di lavoro, la Carta di Francoforte, il Jobs App, l’interrogazione parlamentare di Giovanni Paglia di Sinistra Italiana), dall’altro la definizione di una norma sembra ancora lontana.

Volendo guardare al modello sindacale nordico, sarebbe interessante valutare anche l’ipotesi di un tavolo formato da governo, parti sociali e consumatori che definisca un set di norme ombrello che possano essere applicate a tutte le piattaforme di lavoro online e poi stipulare singoli accordi per ogni applicazione così da definire i confini normativi ed economici.

Qualcuno obietterà che si deve regolare a livello europeo. Obiezione giusta, per carità.

La Commissione europea – con una circolare di giugno 2016 – ha comunque demandato ai singoli Paesi di legiferare sulla sharing economy, per esempio.

Sempre la Commissione europea e anche il Parlamento europeo hanno dimostrato interesse sulla gig economy con la produzione di alcuni documenti (Il pilastro europeo dei diritti sociali e la risoluzione parlamentare sull’economia collaborativa, per esempio).

Come dire, le intenzioni sono buone ma bisogna cercare di passare ai fatti il prima possibile.

In ultimo – ma non per ordine di importanza – è necessario precisare una cosa fondamentale per il futuro della gig economy.

Sicuramente i casi Foodora, Deliveroo, Uber e via dicendo sono al centro del dibattito mediatico e ci può stare.

Sono dei lavori che pongono la fisicità al centro. Chi non ha mai fatto caso ai quei giovani (e meno giovani) sfrecciare con quei cubi più o meno colorati sulle spalle nelle vie di diverse città italiane?

Tuttavia, affinché si possa fare un lavoro completo di regolazione della gig economy, bisogna andare oltre. Esistono piattaforme per i lavori più svariati (dal lavoro domestico all’informatica, dal design alla ristorazione, per dirne solo alcune) che hanno già migliaia di iscritti in Italia.

Bisogna pensare anche alle tutele di questi lavoratori e fare un ragionamento più ampio rispetto al solo mondo del delivery.

In questo caso sì che bisogna pedalare!


Per chi lavora nel mondo della gig economy in Italia, è sempre attivo il nostro osservatorio sulle piattaforme di lavoro online. Un breve questionario da compilare in pochi minuti raggiungibile tramite questo link.