Stress da lavoro: colpisce uno su quattro in Italia

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ROMA – Carichi e ritmi di lavoro pesanti, l’ansia di fare; la sensazione di non essere in grado di rispondere alle richieste e – soprattutto di questi tempi – l’incertezza sul futuro e la paura di perdere il posto: così la tensione sul lavoro sale  e così ci si può ammalare.

E’ questo lo stress da lavoro correlato, una vera e propria malattia professionale, sempre più diffusa nel nostro Paese dove colpisce un lavoratore su quattro secondo l’agenzia Ue per la sicurezza sul lavoro. Dato confermato anche da una ricerca della UILTuCS svolta, a campione, tra 500 lavoratori liguri.

MALATTIA PROFESSIONALE – Un problema che riguarda i lavoratori e deve però riguardare anche i datori di lavoro, soprattutto dopo la legge sulla sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro (decreto legislativo 81/2008 e sue successive modifiche con d.lgs. 106/2009) che stabiliva l’obbligo per il datore di lavoro di monitorare lo stress tra i propri dipendenti, nonché l’obbligo di cercare di eliminarlo, o almeno ridurlo, se individuato.

Il punto di partenza della legge è stato l’accordo quadro firmato nel 2004 a Bruxelles tra le parti sociali dell’Unione europea: l’intesa definiva lo stress nei luoghi di lavoro come “una condizione, accompagnata da sofferenze o disfunzioni fisiche, psichiche, psicologiche o sociali’’

FATTORI DI RISCHIO – Le linee guida dell’accordo definivano anche i segnali d’allarme, cioè i fattori di rischio da stress: un eccessivo assenteismo, la frequente rotazione del personale, un numero elevato di infortuni e malattie professionali, sono indicatori importanti dello stress.

Spesso a stressare i lavoratori sono orari troppo rigidi, o la quantità di lavoro che non si riesce a gestire; non di rado lo scarso riconoscimento delle competenze professionali oppure mansioni e ruoli inadeguati, o non corrispondenti alla propria formazione. Pesa anche  la pressione emotiva di attriti o conflitti tra colleghi, o, peggio, con un superiore. C’è poi il mobbing da considerare, ma questo è un altro discorso. La valutazione dei soggetti a rischio è molto complessa, dato che ognuno di noi ha una diversa reazione e una diversa tolleranza – più o meno alta- nei confronti dello stress.

LA RICERCA – La ricerca elaborata dalla UILTuCS insieme all’Ital (il Patronato della Uil), ha raccolto molti dati, in forma anonima,  tramite interviste e questionari ai lavoratori. In particolare i delegati Uil hanno intervistato 500 lavoratori liguri operanti nell’ambito del commercio, sia in grandi aziende, come Ikea, Upim, che in realtà più piccole come l’Acquario di Genova, gli Istituti di vigilanza privata. E’ subito emerso – rileva la UILTuCS- un dato allarmante e cioè che più del 40% degli intervistati dichiara di non avere a disposizione gli strumenti necessari e idonei a svolgere il lavoro. Cosa che apre forti interrogativi sull’adeguatezza dei livelli di sicurezza sui luoghi di lavoro.

Per quanto riguarda lo spazio a disposizione per svolgere la propria attività, quasi il 50% degli intervistati lo ritiene discreto, più del 30% mediocre e solo il 19% buono o ottimo (la norma uni 10339 calcola in 7/8 mq lo spazio sufficiente per ogni lavoratore).

LA FORMAZIONE – Altra dimensione analizzata è quella inerente la formazione e l’informazione interna. Il giudizio su come circolano le informazioni, sia all’interno dell’unità lavorativa sia tra le diverse unità, risulta essere mediocre per il 40% degli intervistati.

Per quanto riguarda le esigenze formative i lavoratori intervistati si suddividono sostanzialmente in tre parti dichiarando che “non vengono mai accolte” nel 33% dei casi; “solo in certe occasioni” per il 32%; “abbastanza spesso/sempre” per il restante 34%. Dai dati risultanti da questa sezione della ricerca emerge in tutta evidenza come nelle aziende non siano pianificate le iniziative di informazione e formazione dei lavoratori, non solo in materia di salute e sicurezza ma anche per quanto riguarda le politiche aziendali, le risorse umane, i servizi.

“La ricerca – commenta Alessandro Germoni curatore con Maura Tabacco dell’indagine – ha evidenziato molti elementi di malessere che noi cerchiamo di contrastare, anzitutto attraverso adempimenti concreti per tutelare i lavoratori dai danni alla salute (il Patronato è dotato di propri medici che aiutano la conoscenza e la conseguente prevenzione dei danni alla salute) poi attraverso un lavoro di informazione e formazione: mettiamo a sistema le varie competenze , facciamo circolare le informazioni nei luoghi di lavoro e investiamo in formazione che è un altro elemento centrale per la vita lavorativa”.

IL POPOLO DELLE PARTITE IVA –  Sarebbe interessante ora  monitorare anche il popolo delle partite Iva e i precari (una popolazione che supera quota 160 mila persone solamente nell’ambito Ict) e vedere quanto questi lavoratori possano risultare stressati, magari più dei colleghi dipendenti.

Probabilmente è uno stress che si manifesta in modo diverso visto che spesso i networkers lavorano da soli e non sempre possono esprimere al meglio i loro talenti; certamente sono spesso nell’impossibilità di lamentarsi, se non su twitter o face book. Ed anche in questo caso dovrebbero fare attenzione: i social networkers oramai sono  monitorati dai datori di lavoro e dagli head Hunters, e la reputazione digitale va mantenuta.

Per i networkers, spesso costretti a tenersi dentro frustrazioni e tensioni ci sarebbe anche un’altra possibilità (molto particolare) per scaricare lo stress, da usare però con molta moderazione: l’applicazione Devastating Explosions

Per la ricerca sullo stress guarda il video: Lavoro e stress, in Liguria dati preoccupanti

 

di Giuseppe de Paoli