Tlc: un mercato in ostaggio della politica

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MILANO – Concretezza vuole che l’Agenda Digitale e lo sviluppo dell’economia digitale – ormai di assoluta preminenza mondiale su tutti gli altri settori – non possano trascendere dalle sorti del comparto telefonico (Tlc) e della sua principale impresa Telecom Italia, praticamente l’unica azienda del settore rimasta a guida nazionale (seppur solo in parte).

Non possono perché conditio sine qua non del digitale è la velocità di trasmissione e di accesso ai dati Tlc.

La terza economia europea si nutre di consumi digitali (non esiste la sbandierata arretratezza italiana nel settore) ma nel Paese manca, come in tutt’Europa, la produzione.

Gli europei di fronte all’aggressione Asia-Usa, hanno usato gli aiuti pubblici per le Tlc, esattamente com’era successo per energia, banche, auto, ecc. In Italia invece sono state ‘salvate’ Finmeccanica, Enel, Eni, Poste e le banche e si sono lasciate alla deriva, per scelte dei partiti, produzioni come la chimica, l’acciaio e le Tlc.

Il peccato originale di Telecom, e quindi delle Tlc italiane, resta comunque il debito di 28 miliardi di euro della società, rimasto nonostante la cura da ‘cavallo’ attuata da Bernabè. Un debito a cui si assommano i 16 miliardi d’investimento preventivati e i 3 del nuovo prestito dei bond ibridi, e suona alle orecchie del mercato come un rosso da 47 miliardi.

Questo debito costringe Telecom a vendere di corsa La7 alla Cairo Communication, società dell’omonimo presidente del Torino calcio. L’offerta di Urbano Cairo é stata di 90 milioni (oltre ai 200 necessari per coprire il debito della Tv di Mentana) quindi inferiore ai 300 milioni di euro offerti dal fondo Clessidra – che però sapeva troppo di berlusconismo -. La proposta Cairo inoltre lascia a Ti Media i remunerativi 3 multiplex sul digitale terrestre, del valore di 350 milioni di euro.

Oltre al debito però su questa vendita pesa pesantemente l’intervento dei partiti: vedi l’improvvisa proposta di una cordata montista di Della Valle, già azionista Rcs–Corriere, mentre Mentana – che aveva paventato l’acquisto di La7 da parte del leader Pdl – avverte che Cairo è ‘vicinissimo a Berlusconi’.

Inoltre dopo la scomparsa dal mercato di Cecchi Gori e l’impossibilità di partnership con la Rai e Murdoch, il mercato Tv – parte cruciale del digitale – s’identifica oramai con Mediaset.

Telecom dal canto suo non ha imboccato, se non in modo raffazzonato (con Cubovision) la via del futuro interattivo della Tv web-connessa.

Dietro l’alibi del debito c’è stata la soggezione verso i partiti e a un modello in cui non è Internet che si espande negli schermi televisivi, ma la è la Tv dei para show parapartitici che viene riproposta pari sul web.

C’è una forte arretratezza dei vertici imprenditoriali e politici del Paese che ripropongono lo stesso errore fatto nel ’97, all’epoca della madre di tutte le privatizzazioni, quando non fu l’informatica (oggi rappresentata da Facebook e dagli Over The Top) a venir posta alla guida delle Tlc (come avveniva nel resto del mondo) ma il contrario.

I nemici ideologici di Internet sono sempre al vertice (confermati anche con la nomina di Maurizio Décina all’AgCom ) e si rivede un copione già scritto: l’informatica mondiale domina sulle tlc, ma l’IT italiano è finito. E domani l’Internet mondiale dominerà sugli schermi televisivi anche nostrani.

La partitica, a cui gli imprenditori di Alleanza per Internet si rivolgono passivamente solo per avere commesse, si muove contro l’evoluzione tecnologica e contro il mercato, senza peraltro sostenerli.

Come si vede dal dibattito aperto attorno alla vendita di La7, alla classe dirigente non interessano le eventuali secche dell’innovazione. Il metro di giudizio è il manuale Cencelli, applicato alla custodia cautelare dei mercati tecnologici, da conservare per loro e amici, anche dovessero morire di asfissia.

A pagarne il costo saranno in parte i consumatori, le competenze indipendenti della società e, soprattutto, i lavoratori.

di Giuseppe Mele