MILANO – La fase di recessione che colpisce il Paese comporta conseguenze serie per tutti: mancano il lavoro e i soldi, aumentano gli italiani che stentano ad arrivare alla fine del mese e quelli in ‘forte difficoltà’ sono oramai quasi 7 milioni (dati Istat).
Lo stato di ‘stallo’ della nostra economia e’ evidente ed e’ aggravato dall’ incertezza politica che perdura nel Paese dopo le elezioni.
La recessione, che non abbiamo scelto né voluto, ci ha richiamato forzatamente a uno stile di vita più semplice ed essenziale.
Un fatto scomodo da accettare, che però potrebbe aprire nuove prospettive per noi.
In questo clima, certamente non sereno, e’ tornata d’attualità la teoria della decrescita, resa famosa dal sociologo Serge La Touche (però i riferimenti culturali si rintracciano già in filosofi come Jean Baudrillard o André Gorz) e riportata alla ribalta dal Movimento 5 Stelle.
L’argomento divide: da una parte c’e’ chi-come gli opinionisti de Il Giornale e di Libero- equipara la decrescita ad un ‘ritorno al passato’, dall’altra chi sottolinea che la descrescita significa, sostanzialmente, riconsiderare il nostro rapporto con i consumi, i bisogni, l’ambiente.
Dal nostro punto di vista decrescere vuol dire ridurre il più possibile gli sprechi (non i salari, le garanzie e la dignità dei lavoratori!); riciclare invece che continuare a consumare risorse naturali; superare la sterile contrapposizione tra austerity e consumismo (entrambi modelli da abbandonare)
E anche avvicinarsi a stili di vita più ‘sani’, sostenibili e conviviali al tempo stesso.
E, fin qui, la decrescita felice, altrimenti detta semplicita’ volontaria, può essere considerata un progetto generalmente condivisibile.
Piu’ difficile capire (visto il punto cui è arrivata l’Italia) se la decrescita felice possa essere ancora una soluzione per il Bel Paese: prevede infatti un deciso cambiamento culturale, di valori, di stili di vita: e’ insomma, citando Bretch ” la cosa semplice difficile a farsi”.
Altrettanto vero il fatto che la decrescita forzata, quella non felice, che ci e’ stata imposta dall’alto, prima dall’Unione Europea poi dal Governo Monti, non ha dato grandi risultati. Il declino infatti continua, apparentemente inarrestabile.
L’Austerity non ha risolto i problemi dell’Italia (ne della Spagna e della Grecia) e ci rimane sul groppone il poco credibile obiettivo del pareggio di bilancio entro il 2013.
Con qualche domanda correlata: con che costi? e perchè alla Francia, che ha un debito ben al di sopra dei parametri del Patto di Stabilita’, e’ stato invece concesso di pareggiare nel 2017?
Senza i provvedimenti dell’Ue sarebbe andata peggio ci dicono, ma la domanda incombe inquietante: quanto sarà possibile ancora, per il Paese, sostenere questa fase di deprivazione? Non vale la pena di provare a cambiare, ricontrattare le date con l’UE e liberare le risorse per una ripresa ?
di Giuseppe de Paoli