Agcom, via il guru. Perchè non sostituirlo con un networker?

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ROMA – È dispiaciuto a tutti che per gravi motivi personali Maurizio Dècina abbia dovuto abbandonare il suo posto all’Agcom. Se ne sono lamentati gli altri commissari, Martusciello e Preto, in quota Pdl), Posteraro (in quota Udc), il presidente Cardani (in quota Monti), il viceministro Catricalà, i principali giornali. Onestamente augurando ogni bene al trentennale guru TLC , la notizia sembra avere anche risvolti positivi.

Dècina ha sempre evidenziato gli aspetti degenerativi dello sviluppo TLC, lo scarso spessore dei contenuti web e dei social network, la colonizzazione culturale che ne sarebbe derivata. Ultimamente ha previsto pericoli occupazionali a 5 cifre per il mondo digitale italiano. Quando però si è trattato di consigliare la politica che tanto si è adoperata per questi magri risultati, in un modo o nell’altro, il professore si è trovato dalla parte dei distruttori. Forse è stato male interpretato, o non capito, ma non si ricordano sue prese di distanza chiare e forti quanto quelle prese sul pubblico TLC, considerato un insieme di scimmie stupide, degne eredi del povero pubblico televisivo nazionalpopolare.

Ecco perché ora, alle sue dimissioni, si potrebbe auspicare una svolta, soprattutto quando si tratta per l’Agcom di decidere su cose importanti quali il diritto d’autore online ed i contenuti dello spazio pubblico telematico. Senza Dècina solo Preto si sta occupando di Infrastrutture e Reti, prima regno incontrastato del professore ( agli altri due vanno Servizi e Prodotti).

Secondo un rigido manuale Cencelli, Dècina era all’Agcom, in quota componente dalemiana Pd, cui ora toccherà nominare un sostituto, anche se sarà l’assemblea di Montecitorio a nominare il nuovo commissario, senza limiti temporali.

Papabili al momento, senza al momento notizie renziane, sono, per la sinistra PdSel, Vita e Zaccaria, epigoni del MimandaRai3, di Articolo21, dei contratti in Rai al ribasso voluti solo per questioni politiche, per non firmare con l’ex direttore Lei. Sono gli uomini della par condicio e dell’odio per i mass media che non siano sotto controllo ideologico. La Uil ne sa bene qualcosa, dal trattamento subito in Rai, alla Fiat ed all’Ilva.

Poi, in un secondo piano, più sornioni ci sono il giornalista Rognoni, ex parlamentare PD, ex CdA Rai, ora Presidente di un improbabile Forum Riforma TV e Sassano, anch’egli da tempo docente universitario TLC di lungo corso, esperto sopratutto di spettro e frequenze. Si tratterebbe, malgrado la sbandierata indipendenza, di una nomina Telecom Italia dove Sassano ricopre il ruolo di presidente della vigilanza su Open Access. In alternativa Bersani vorrebbe un dirigente statale in aspettativa, il responsabile Pd dei diritti dei consumatori Lirosi, una specie di Barca minor.

Sembra che il destino dell’Italia digitale e dei suoi lavoratori debba essere sempre nelle mani di avvocati, dirigenti statali, professori e di ex. Ex Cda di qua, ex deputati di là.

Non potrebbe essere la volta di una persona della produzione digitale e del lavoro digitale? Gambardella dell’Etno che tanto si è fatto sentire in Europa ha la sua occasione. Non potrebbe venire una proposta dal Cnel, da Confindustria Digitale, dai sindacati? I grillini vogliono un nome indicato dalla rete. Viene da pensare per esempio che provengono dal settore TLC sia Zucco il leader del Tea Party che il sindaco di Verona Tosi. Non sarebbe meglio un nome proveniente dai luoghi di lavoro? Che magari capisca meno tante frigide teorie che in nome della corda neutralità impongono l’impiccagione ai settori digitali nazionali ma affronti le cose con praticità?

L’ultimo atto Agcom con Dècina ha diminuito i costi dell’accesso della rete con effetti disastrosi per Telecom senza un effettivo vantaggio occupazionale per i concorrenti, senza effetti positivi sugli investimenti e sul digital divide che ormai divide non Nord e Sud ma l’Italia dal Nord Europa e l’Europa dagli Usa.

I centinaia di milioni di euro persi di ricavi hanno anticipato la pronosticata perdita di posti di lavoro. Se l’Agcom deve regolare il mercato, e non deprimerlo, cambi passo e candidature. I sindacati devono affrontare il problema delle Authority, così affrontando nell’insieme la questione finora non vista dei networkers.

di Giuseppe Mele