Agenda Digitale, incontro con i sindacati

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ROMA – L’anno scorso in occasione del dibattito sulla legge di stabilità per crescita e occupazione, i Sindacati, di comune accordo con Confindustria, hanno proposto al mondo politico italiano, soluzioni di carattere fiscale, industriale e istituzionale; tra queste “la rapida adozione dell’Agenda Digitale Italiana”, richiesta il 2 settembre 2013 da sindacati e imprese.

Ecco alcuni temi da affrontare.

Rapporti

A breve sarà diffuso il Rapporto sullo stato dell’infrastruttura di banda larga in Italia di Francesco Caio, consegnato al governo lo scorso 22 gennaio, dopo tre mesi di lavoro condotti da Mister Digitale con esperti francesi e americani.

Si tratta del secondo rapporto redatto da Caio per un governo italiano, dopo quello del 2009 che prevedeva 10-12 miliardi di euro di investimenti per la realizzazione della banda larga. Gli investimenti pubblici non ci sono stati, almeno nella misura allora richiesta.

Il rapporto, però, ammette oggi che l’obiettivo di allora (disponibilità per tutti della rete fino a 2 Mb/s) nei fatti è stato raggiunto. I dati infrastrutturali erano già noti dai rapporti pubblicati dal Cisis, e da Telecom Italia; e ricavabili anche dall’apertura degli Open Data istituzionali, a cominciare da OpenCoesione.

I tre obiettivi prioritari (Fatturazione elettronica, Anagrafe nazionale e Identità digitale) su cui si sono concentrati AgiD e Caio, hanno condotto quest’ultimo a introdurre una significativa nuova tematica, quella della Sovranità Digitale dello Stato.

Cittadinanza digitale

La cittadinanza digitale, già da questo anno, con l’avvio della piattaforma centralizzata dei dati anagrafici oggi gestiti dai Comuni e del progetto pilota della carta d’identità elettronica in sostituzione delle numerose carte dei servizi locali, diventa scelta strutturale della pubblica amministrazione. Qualcosa che va oltre la mera semplificazione della macchina pubblica; qualcosa che impegnerà a fondo il pubblico impiego, l’informatica pubblica e quella privata fornitrice della PA.

L’elenco degli obblighi digitali già oggi posti a carico delle imprese (tra cui appunto anche la fattura elettronica) e la normativa del Codice dell’Amministrazione Digitale preparano il momento in cui anche le persone fisiche dovranno diventare cittadini digitali, assumendo nuovi diritti e nuovi doveri.

Sovranità digitale secondo Caio

La costruzione della cittadinanza digitale impone, secondo Caio, la necessità di normare la Sovranità Digitale dello Stato, vale a dire di chiarire limiti e funzioni dello Stato digitale, e dello spazio statuale internazionale dove si colloca il mercato digitale. Un concetto che per i sindacati italiani, come per quelli europei, si traduce in confronto e misura di cloud e delocalizzazione; di fiscalità virtuale e materiale; di peso di competenze e redditi, di mercato unico e competizione territoriale. Un concetto che secondo Caio dovrebbe portare alla revisione dei dettati costituzionali nazionali ed europei. L’approccio, che può apparire temerario, è invece quanto mai realistico, poiché affronta la tendenza al superamento del significato di ogni confine, del mercato digitale internazionale; e quindi valuta la congruenza dell’Agenda digitale con gli obiettivi di Ue 2020.

Sindacato europeo

Il sindacato europeo CES per esempio, che sostenne la strategia di Lisbona, ha contestato UE 2020 a marzo dell’anno scorso perché le politiche effettive smentiscono le strategie adottate. Per la Ces, “la priorità immediata non è il 2020, ma l’occupazione, i disoccupati, i giovani”; tanto più che per la maggioranza degli 85 sindacati CES, il coinvolgimento nelle politiche digitali è stato solo vuota formalità. La contestazione all’economia digitale ha raggiunto l’acme nel dicembre 2013 in occasione della lettera di Sharan Burrow, segretario Ituc; Bernadette Segol, segretaria Etuc; e Richard Trumka, presidente Afl-Cio contro il Transatlantic Trade and Investment Partnership, accordo di libero scambio euroamericano (che rappresenta oltre il 50% del Pil mondiale).

Agenda Digitale Europea

L’Agenda Digitale europea, programma faro di Europa 2020, si fonda su 7 pilastri: 1. Mercato digitale unico, 2. Internet veloce e superveloce, 3. Interoperabilità e standard, 4. Fiducia e sicurezza informatica, 5. Ricerca e innovazione 6.Alfabetizzazione digitale (Enhancing digital literacy, skills and inclusion) 7. ICT per la società.

L’Agenda Digitale italiana ha invece 6 assi: 1.e-commerce, 2. e-government e open data, 3. alfabetizzazione informatica, 4. ricerca, 5. smart communites, 6. infrastrutture e sicurezza. L’Agenda europea si concentra più sul mercato privato; quella italiana alla PA ed alla spesa pubblica informatica relativa di circa 5 miliardi di euro l’anno.

Open data

Nondimeno il mercato digitale ed il relativo lavoro sono sia pubblici che privati. Coinvolgono quasi il 75% dell’intera economia, tramite le filiere della comunicazione, dell’industria elettronica e dell’Ict, del commercio Ict, della finanza Ict, della conoscenza digitale e dell’amministrazione digitale.

Risultano presenti nel lavoro dipendente ed autonomo e nei contratti pubblico, dei servizi e di parte dell’industria. In linea con le aspettative dei lavoratori, i Sindacati si attendono che l’economia digitale contribuisca alla crescita dell’occupazione ed alla diffusione di lavoro di qualità, che valorizzi le capacità e lo sviluppo professionale dei lavoratori.

A 16 anni dall’avvio della società dell’informazione europea, 4 dall’agenda digitale europea e 2 dall’agenda italiana, è lecito dunque chiedere dati precisi sul rapporto tra digitalizzazione e lavoro, oltre quanto non siano riusciti i teorici obblighi di comunicazione definiti in Europa dagli istituti dei Cae e della “spa europea”.

In particolare dati sull’occupazione ed economici: 1) quale e quanto sia il lavoro coinvolto; 2) quanto sia cresciuto o diminuito; 3) quanto siano cambiate per effetto della digitalizzazione le competenze, conoscenze e abilità; 4) quali sono gli effetti salariali e stipendiali; 5) quali siano i cambiamenti contrattuali di profili e mansioni; 6) se siano riconoscibili tendenze costanti di cambiamento.

Infoproviding

Le statistiche possono risultare fuorvianti: l’Italia risultava nel 2009 leader per i servizi e-gov mentre negli anni successivi è passata al 17° posto, ma questa differenza non è dovuta a effettivi cambiamenti da parte dell’offerta comunicazionale o dell’utenza quanto alle comunicazioni fatte pervenire in Europa.

Risulta sospetta nel mare magnum delle diverse fonti dei continui sondaggi e statistiche sul mercato digitale, la sottovalutazione del punto di vista del lavoro, assolutamente sommerso dai dati rilevanti per le esigenze dell’analisi finanziaria, dei consumatori, dei vendor e degli indirizzi pubblici. Le indagini dell’infoproviding non sono neutra accademia ma una parte del mercato digitale pagato da enti privati e pubblici. Come sulla rappresentanza e sulla contrattualistica le parti sociali hanno fatto uno sforzo di trasparenza sui dati, così nel contesto dell’innovazione, ci sono istituzioni cui spetta di il ruolo di committente di indagini puntuali sul frameset di dati del lavoro digitale, grazie all’apertura e trasparenza degli Open Data.

Occupazione

Alcune tendenze macroeconomiche sono note. Per esempio l’aumento della disoccupazione mondiale nel prossimo lustro. Oppure il calo dei redditi e delle tariffe dei lavoratori specialistici ICT, che si riscontra negli Usa come in Europa. Il miglioramento delle competenze attraverso la formazione è auspicabile per la tenuta del sistema produttivo, ma non determina l’occupazione ed il lavoro di qualità.

L’adozione e la coniugazione di diversi standard delle competenze (dalle 40 macrocompetenze precompetitive e 8 livelli di classificazione dell’e-CF, standard Uni, divenuto norma con la legge 1313, all’ESCO, sistema di classificazione europeo dei profili professionali, gestito in Italia dall’Isfol, alle classificazioni economo-funzionali dell’Istat) sono necessarie per un dataset condiviso sia dal mercato del lavoro che dagli analisti. Non hanno riflessi però sui contratti di lavoro in assenza di politiche industriali.

Classificazione delle competenze

Non si vorrebbe che i mansionari, rigidi e ostativi dell’efficienza, già abbandonati dai sindacati, assumessero troppa importanza, magari nel quadro dei rapporti di fornitura dei servizi professionali alla PA. La UIL, nel settore del commercio con UILTuCS, grazie alle attività di Sindacato-Networkers, rivolto soprattutto al lavoro autonomo, e del portale di ricerca lavoro Jobict.it, ha utilizzato l’e-CF per la rilevazione delle competenze, come anche la classificazione delle professioni del web di Iwa Italy. Ugualmente ha partecipato alla stesura del catalogo formativo dell’ente di formazione bilaterale Tlc. D’altro lato non può non chiedersi perché non vengano maggiormente valorizzate le competenze del pubblico impiego sul quale, nel complesso pesa un sistema di 456.565 consulenti che costano 2 miliardi.

Punto di vista del lavoro

I pregi dell’Agenda Digitale sono spesso misurati per risparmio di spesa pubblica e delle imprese, indicato rispettivamente in 35 miliardi e 25 miliardi, calcolato anche con la riduzione del lavoro pubblico attuale del 10% e di quello privato per 7 miliardi di hlavoro. È evidente che promuovere un obiettivo di depressione dell’occupazione non trova consenso, tanto più se, per aumentare il lavoro dello 0,8%, c’è bisogno di un 10% di incremento della banda larga. Al netto della crisi che ha fatto perdere 1,5 milioni di posti di lavoro, le diverse filiere produttive sopra elencate sono in forte crisi, alla quale non poco ha contribuito il sostegno europeo alla competizione interna, che ha indebolito fino allo stremo i comparti produttivi sotto la concorrenza di grandi società extraeuropee monopoliste.

Produzione

Alla riduzione dei costi, deve corrispondere in una prospettiva di lavoro, il sostegno all’offerta per aumentare la quota di copertura europea del mercato mondiale. Senza produzione, si perde via via anche il know how del lavoro digitale; e successivamente anche la capacità di controllo normativo e democratico poiché l’e-democracy viene gestita e ospitata da infrastrutture e servizi né nazionali, né europei. Più che soffermarsi sul rilancio della produzione digitale, il dibattito in genere enfatizza l’insufficienza su cultura e cittadinanza digitale espressi dal digital divide, che non meraviglia dato il dualismo economico nazionale. L’espansione del settore privato e la modernizzazione della PA in realtà vanno di pari passo; senza l’una o l’altra il processo della dematerializzazione è destinato a fermarsi, come già avvenuto negli ultimi dieci anni.

Sfide per il Sindacato

Per il sindacato si prospettano due sfide: 1) riuscire ad avere una visione d’insieme dei diversi mercati digitali e dei relativi lavori senza restare prigioniero delle politiche pubbliche e datoriali spesso di corto respiro; costruire, con il proprio network e quello istituzionale un’informazione chiara, accurata ed accessibile sul mercato del lavoro digitale; 2) rendere a partire dalla PA, ma non solo, massivo il lavoro mobile, con un rapporto più umano con il territorio, recuperando spazi pubblici comuni, oltre l’esperienza residuale del telelavoro. Solo migliore reddito però ottenuto dai risparmi della deconcentrazione fisica può far esplodere una modalità lavorativa per la quale ci sono tutte le conduzioni tecnologiche. L’Europa cerca e-leader protagonisti dell’innovazone quotidiana. I lavoratori che sostituiscono i tornelli con gli smartphone possono diventarlo, attraverso l’esempio quotidiano.

di Giuseppe Mele