Terziario, l’ICT centrale per il settore

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MILANO – Fare la spesa online, prenotare una camera d’albergo con un app mobile, confrontarsi su un forum con gli esperti di studi professionali. Questi e altri gesti stanno gradualmente entrando nella vita quotidiana degli italiani.

Guardandoli da un’altra prospettiva, ovvero da quella dei lavoratori e delle aziende, si può affermare che il settore terziario stia segnando sempre più l’economia italiana.

L’ICT in questo settore, etichettato anche come “Servizi innovativi alle imprese“, sta acquistando sempre più spazio. A dimostrarlo i dati presentati a fine marzo a Roma da InNova, società italiana di studi e ricerche, nelle vesti del professor Paolo Feltrin dell’Università di Trieste.

Ecco alcune tendenze e numeri estrapolati dallo studio.

Innanzitutto il processo di redistribuzione dell’occupazione nel terziario appare comune alle principali economie europee come la Gran Bretagna, la Francia e la Germania: diminuisce il peso di commercio, servizi tradizionali alle imprese e servizi pubblici a favore di uno sviluppo del turismo ma soprattutto dei servizi innovativi alle imprese.

In termini di valore aggiunto dei servizi in Italia (l’incremento del valore di una merce una volta che questa è uscita dal ciclo di produzione), nell’indice di variazione percentuale 2002-2012 si osserva una forte crescita delle attività finanziarie, cui si aggiungono alcuni servizi innovativi per le imprese (telecomunicazioni, in particolare) e servizi privati alle persone.

Tuttavia, alla crescita occupazionale avvenuta nel terziario non è legato un incremento generale del valore aggiunto determinando una contrazione della produttività del lavoro. Soprattutto nei settori più dinamici come l’ICT.

L’occupazione nel settore ICT ha segnato positivamente in particolar modo regioni come il Piemonte, la Lombardia, il Friuli Venezia Giulia e l’Emilia Romagna. Il dato riguardante i servizi innovativi alle imprese, insieme ai servizi privati alla persona, è comunque in aumento su base nazionale.

Rovescio della medaglia per quanto riguarda l’irregolarità dell’occupazione. Sul totale del settore servizi, il lavoro sommerso ha un tasso del 10,8%. Al suo interno, i servizi di informazione e comunicazione hanno un tasso del 13,3%, ovvero tra i più alti del settore insieme ai servizi domestici e alle attività artistiche e di intrattenimento.

Per quel che riguarda l’import-export, l’Italia, insieme alla Francia, è un Paese ancora troppo importatore secondo le elaborazioni dei dati Eurostat fatte da InNova. I servizi informatici contribuiscono solo il 2,4% sulla crescita totale dell’export italiano di servizi tra il 2002 e il 2012.

Buona la presenza femminile (46,3%). Altrettanto alta è la percentuale di lavoratrici part-time (25,6%) secondo i dati Istat aggiornati al 2012.

Chi lavora nel settore ICT, in pratica, ha un tasso di professionalizzazione più alto rispetto ai colleghi del settore servizi in generale.

I laureati sono particolarmente presenti tra i servizi innovativi e in quelli alla persona. Sul lungo periodo (2004-2012) cresce il contributo all’occupazione di diplomati e laureati.

In generale, nel settore ICT si prevedono assunzioni in gran parte legate alle high skills. Ma si prevede un ridotto numero di candidati e l’inadeguatezza dei candidati. Il tutto in linea con i dati europei forniti lo scorso dicembre dalla società tedesca Empirica per la Grand Coalition for Digital Jobs della Commissione europea.

Sembra proprio che oltre ai classici fattori produttivi (terra, lavoro e capitale), la partita si giochi sulla conoscenza. In particolare con un processo di apprendimento continuo dei lavoratori.

In questo processo di alimentazione della conoscenza, un ruolo fondamentale è svolto dai
Knowledge Intensive Business Services (KIBS), cioè società private di servizi a elevata
intensità di conoscenza.

In conclusione, possiamo dire che sarà sempre più necessaria un’interazione tra gli attori specializzati nella produzione e diffusione di conoscenza e i suoi utilizzatori.

Un’attenzione particolare merita il fenomeno della over education: livelli di istruzione più elevati rispetto alla professione svolta. Nel tempo i più giovani a parità di istruzione occuperanno professioni più basse.

La ricerca è scaricabile dal seguente link.

di Mario Grasso