Francesco “Wil” Grandis – Developer

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Francesco Grandis, Wil per gli amici. Classe ’77, Veneto. Laureato in ingegneria elettronica a Padova, dopodiché ha iniziato un lavoro come dipendente nel campo della robotica industriale. Trasferte, straordinari, stress… solite cose. Quello che lo ha portato a rispondere a questa intervista, però, è quello che successe dal 2009 in poi.

Nell’agosto di quell’anno capì che quella vita non faceva per lui. Si licenziò e spese tutti i suoi risparmi per un giro attorno al mondo di sei mesi. Tornò rinnovato, e scelse una nuova strada, quella del “lavoro nomade”. Reinvestì la sua professionalità nel mondo dei programmatori freelancer, e trovò degli ottimi clienti americani.

Il miglior trattamento economico gli permise di lavorare solo venti ore a settimana (part time), e comunque di riuscire a mantenere lui e le sue passioni. In particolare viaggiò molto, alla ricerca di esperienze sempre nuove e di crescita personale. Più che fare il turista, ha la speranza di essersi messo alla ricerca della sua Felicità. Il suo portatile, assieme al suo lavoro, era sempre con lui nello zaino.

Dopo quattro anni di freelancing e quindici mesi di viaggi vari, nell’agosto del 2013 fece un altro passo, e abbandonò anche quella professione. Oggi la sua attività giornaliera è la “condivisione”. Attraverso un sito web e una pagina Facebook, condivide le sue storie di viaggio, la sua filosofia di vita, e risponde alle domande di chi lo segue. A breve uscirà il suo primo libro su queste esperienze.

L’ultimo social post?
Il mio ultimo articolo si intitola “la metafora del cavatappi”. Si riferisce ad un avvenimento di cinque anni fa. Durante il giro del mondo, si crearono delle strane coincidenze per cui mi fu rivolta una domanda fondamentale: “qual è il senso della vita, secondo te?”. Una domandina da nulla, insomma!
Eppure ebbi quella che io considero una illuminazione, e scrissi la risposta. Riguardava un cavatappi.

L’ultimo video che hai visto su Youtube?
Il video del discorso finale di Charlie Chaplin in “Il grande dittatore” del 1940. È un discorso emozionante e utopico sulla pace, la democrazia e l’uguaglianza. Nonostante i suoi quasi 75 anni, è ancora un discorso molto attuale che fa pensare che nel frattempo abbiamo imparato ben poco.

Mac, Windows o Linux?
Windows, anche a causa del lavoro precedente, che mi obbligava a programmare in C# e Silverlight, due linguaggi Microsoft. Comunque forse la scelta sarebbe ricaduta su Windows in ogni caso: Linux è troppo da smanettoni (ho passato quell’età), e il Mac è troppo di moda per i miei gusti.

L’ultimo acquisto online?
Libri da Amazon: “On writing” di Stephen King, “Vagabonding” di Rolf Potts e “La via del guerriero di pace” di Dan Millman. Tutte cose abbastanza ispirate, insomma.

Un libro che ha segnato la tua vita?
A dieci anni ho letto “Lo Hobbit” di J.R.R.Tolkien. Quel libro mi ha donato quelle che forse sono le mie più grandi passioni: l’avventura e le storie fantasy. Tutt’ora coltivo il sogno di scrivere una grandiosa saga fantasy!

Qual è stato il progetto lavorativo che più ti ha segnato?
Senza dubbio diventare un programmatore nomade. Ho avuto solo un cliente, per un rapporto professionale durato ben quattro anni, fino a che non l’ho interrotto io. Non era tanto quello che facevo o quello che guadagnavo, quanto la vita che mi ha permesso di fare. Sono cresciuto più in quei quattro anni che nei venti precedenti, e non è dire poco!

Quando hai deciso di diventare sviluppatore?
All’università. Sono laureato in ingegneria elettronica, ma dopo qualche anno mi resi conto di avere più affinità con l’informatica. Programmavo già per conto mio, per hobby, fin da adolescente. Chissà come lo trovavo divertente. Poi son cresciuto…

Francesco Grandis in India, mentre lavora dal balconeE vista la tua nuova attività lavorativa, perché hai deciso di smettere?
Durante il mio giro del mondo nel 2009-2010, avevo compreso che non avrei mai trovato la felicità nel lavoro o nel denaro. Sono solo degli strumenti, inutili se non servono a uno scopo. Nello specifico, il mio è quello di trovare la felicità autentica, attraverso un percorso di crescita personale.
I quattro anni come programmatore freelancer sono serviti a questo: mi hanno fornito i mezzi economici, pur lasciandomi il tempo e la libertà di seguire la mia vera strada. Quando sono cresciuto abbastanza, mi sono sentito pronto per dedicarmi a qualcosa di più importante (per me), anche se di certo meno redditizio. Così sono diventato un “raccontatore di storie”, come amo definirmi.

Nella tua carriera, ha contato più lo studio (da autodidatta o scolastico-professionale) o l’esperienza pratica?
La pratica. Lo studio crea fondamenta, non necessariamente solide, ma è solo con la pratica e con l’esperienza che si può costruire qualcosa. Un esempio perfetto è l’apprendimento di una lingua straniera. Un corso ti fornisce la grammatica, ma è la pratica che ti insegna come passare la sera in un bar a Buenos Aires. E ne serve!

Il primo colloquio non si scorda mai: hai qualche curiosità da raccontare?
Ero ancora all’università, mi mancavano un paio di esami. Un’azienda locale cercava un tesista particolarmente audace, esperto in sistemi di controllo, la mia specializzazione.
Durante il colloquio si accertarono che io ne sapessi abbastanza, ma la domanda davvero decisiva fu: “Dovresti andare in Colorado un mese e mezzo. Puoi partire questo giovedì?”. Mancavano due giorni.
“No”, risposi, “venerdì ho un esame. Lunedì prossimo va bene lo stesso?”.
Mi assunsero.

Hai avuto durante la tua carriera professionale un incontro particolare?
Soprattutto nel mio primo lavoro come dipendente, quando ero ancora un trasfertista nel campo della robotica, ho incontrato tantissimi pessimi esempi. Qui in veneto è davvero pieno di imprenditori, che pur essendo ricchi sfondati, rimangono a lavorare fino a settanta o ottant’anni. Rappresentano la definizione perfetta di “vivere per lavorare”. Mi ripromisi di non diventare mai come loro, e sono sulla buona strada.

E un’intuizione vincente?
Io non amo procacciare clienti e contrattare servizi. Per questo motivo, mentre ero alla ricerca della mia prima commessa come freelancer, desideravo trovare una collaborazione a lungo termine, più che qualcosa di “usa e getta”. Ebbi l’intuizione che avrei avuto più successo in questo se avessi cercato tra le proposte di lavoro pagate a ore, piuttosto che a progetto. Un contratto pagato a ore è più facile da estendere per entrambe le parti, senza ulteriori contrattazioni, no?
Quando trovai quella che faceva al caso mio, mandai la mia offerta, venni scelto e cercai di dimostrare la mia competenza lavorando come se ne dipendesse della mia vita (letteralmente). Alla fine mi fu chiesta davvero una collaborazione a lungo termine. Quella è stata l’unica offerta che io abbia mai mandato come freelancer.

Cosa consigli ai giovani che vogliono diventare sviluppatori?
Di evitare il più possibile di legarsi a una professione che richieda la loro presenza fisica in un determinato luogo e a orari fissi. Il web ha aperto il mercato mondiale per chi ha un lavoro che può svolgere solo con un computer, e i vantaggi sono enormi: maggior libertà, flessibilità, e anche paghe migliori (non in Italia!). Io ho scelto questa professione per poter viaggiare, ma non è obbligatorio. Lavorare da casa, vedere i propri figli crescere, senza traffico, senza limiti di orario… impagabile.

Internet ha cambiato il mondo del lavoro in Italia. Come?
Non saprei se è già riuscito a cambiarlo, temo che in Italia siamo ancora un po’ arretrati. Di sicuro qualcosa è nell’aria. Molti giovani si sono accorti che le speranze di creare una carriera tradizionale e di successo nel nostro paese sono sempre minori, e cerca altrove. Alcuni se ne vanno, altri provano a usare le enormi possibilità offerte dalla rete. Questa modalità di lavoro è ancora poco diffusa, ma direi che serve proprio a superare la storica arretratezza tecnologica italiana.

Serve un sindacato dei Networkers? Se sì, come te lo immagini?
Credo di sì. Manca una legislatura chiara per questo settore, e molti commercialisti non sanno gestire nel modo migliore le pratiche di una professione online. Serve un punto di riferimento, soprattutto a livello informativo e di consulenza, ma anche come “difensore” in caso di dispute legali.

L'ufficio di Francesco Grandis in Patagonia, in un ostelloDescrivi la tua professione in modo chiaro e diretto in modo che anche mia nonna possa capirla.
Sono uno scrittore, e uso il computer per farmi pubblicità. Abbastanza chiaro? Poi fammi sapere se tua nonna è interessata al mio libro!

L’organizzazione ‘classica’ del lavoro (orari rigidi e cartellino da timbrare) ha senso per un networker?
No, nel modo più assoluto. Sono cinque anni che vivo senza sapere che giorno della settimana sia!
Mi impongo comunque una sorta di auto-disciplina per gli orari, ma lavorare senza vincoli di tempo fissi è il modo migliore per garantire un’ottima efficienza. Che senso ha lavorare dopo pranzo, con l’abbiocco, per esempio? Molto meglio lavorare nelle nostre ore “naturali”, quelle che scegliamo per istinto, magari la mattina o la sera tardi. Moltiplichiamo l’efficienza, e in poche ore facciamo un lavoro che in ufficio ne avrebbe richieste il doppio.

Quanti sono i tuoi amici sui social network, quanti di questi conosci davvero e quanti frequenti anche “off-line”?
Sul mio profilo personale di Facebook ho superato le 1000 amicizie, mentre sulla pagina “ufficiale” ho circa 2500 follower, 250 su Twitter e 150 su Google Plus. Sono agli inizi. Fino a qualche tempo fa, penso attorno alle 500-600 amicizie, mi vantavo di aver parlato di persona almeno una volta con ognuno di loro, e con la maggior parte ci avevo pure bevuto assieme (sono pur sempre veneto!). È stato possibile grazie ai miei molti viaggi. Ultimamente però, con la mia nuova attività di condivisione, i miei contatti si sono moltiplicati, e la statistica si è persa.
Offline le mie amicizie sono ridottissime, in confronto.

Prima di incontrare qualcuno che non conosci fai una ricerca su Google? Se no, perché?
No, mi fido molto del mio istinto. Se ho buone sensazioni su una persona non ho problemi a incontrarla. Se ho qualche presentimento, trovo una scusa ed evito. Mal che vada sono grande e grosso!

di Mario Grasso