ICT, l’Italia tra ritardi e buone pratiche

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MILANO – La necessità di migliorare le competenze digitali tra i cittadini resta ancora un obiettivo da centrare appieno sia in Italia sia in Europa.

La Commissione Europea, per far fronte ai problemi legati allo sviluppo del settore ICT e della crescita economica nel Vecchio Continente, ha pubblicato lo scorso agosto 2014 uno studio dal titolo “The International Dimension of ICT Professionalism & the Impact of Globalisation” (La dimensione internazionale della professionalità ICT e gli effetti della globalizzazione) realizzato dal CEPIS (Council of European Professional Informatics Societies), Innovation Value Institute (IVI), the International Data Corporation (IDC) e la società di ricerca tedesca Empirica.

Il settore ICT in Europa, entro il 2015, vedrà una crescita di 100mila posti di lavoro ma con una mancanza strutturale di oltre 500mila occupati causata dalla carenza di competenze ICT richieste dal mercato del lavoro.

Le mancanze maggiori, neanche a dirlo, si registrano in Italia che con la Germania e la Gran Bretagna raccolgono il 60% di tutti i possibili posti a disposizione.

Secondo i ricercatori bisogna rilanciare i quattro pilastri delle professioni ICT: conoscenza, etica professionale, scuola e formazione, competenze. Questo si può fare solo se i Paesi dell’Unione Europea renderanno prioritario lo sviluppo delle professioni ICT.

Saranno necessari inoltre modelli di misurazione capaci di comprendere al meglio l’impatto delle politiche di governo sul settore ICT. Inoltre, i governi dovranno stabilire dei sistemi di monitoraggio sulle competenze del mercato del lavoro per anticipare e reagire al meglio contro la mancanza di competenze digitali.

Un altro aspetto importante della ricerca si è basato sull’impatto della globalizzazione. Circa 753mila posti di lavoro saranno delocalizzati entro il 2020, di cui il 17-18% andrà perso.

I laureati ne soffriranno di più. Per loro, si calcolano fino a 4mila posti di lavoro persi a causa della delocalizzazione entro il 2020.

Gli studiosi hanno inoltre dimostrato che la delocalizzazione non è più causata dalla riduzione dei costi del lavoro visto che delocalizzare risulterà sempre più complesso.

Tra le competenze digitali “onshore”, cioè che sono al riparo dai rischi di delocalizzazione troviamo: e-leadership, analisi e visualizzazione dei dati, User Experience, Design. Ma chi si occupa di sicurezza informatica, architettura d’impresa, direzione d’acquisti ICT, gestione dei processi aziendali, digital marketing e del mantenimento degli aggiornamenti informatici naviga in acque abbastanza tranquille.

Le competenze “offshore”, a rischio delocalizzazione, invece ci sono: la programmazione, l’ingegneria software, la realizzazione di applicazioni e l’analisi del software.

In questo report l’Italia è sotto osservazione anche dal punto di vista delle iniziative per lo sviluppo delle e-skills. I ricercatori del CEPIS hanno dedicato una parte della ricerca al nostro Jobict.it, sito web di incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro ICT sulla base dell’e-CF (European e-Competence Framework) realizzato con Assintel e il supporto scientifico della Fondazione Politecnico di Milano e IWA Italy.

Per CEPIS, l’impatto che può avere jobict.it a livello europeo può essere molto importante e d’esempio per altre piattaforme del genere in Europa, se ci sarà l’opportunità di finanziare, monitorare e rendere popolare lo strumento di job matching.

di Mario Grasso