Sempre più spesso ormai dentro e fuori le organizzazioni sindacali ci si chiede come fare sindacato online. Mark Graham, docente e ricercatore dell’Oxford Internet Institute all’Università di Oxford, propone tre idee utili per rappresentare i lavoratori digitali.
Il mercato del lavoro digitale impone una nuova concezione del rapporto di lavoro. Piattaforme come upwork.com, freelance.com, fiverr.com o mturk.com (la tanto discussa piattaforma di Amazon) mediano le aste del lavoro.
I clienti postano i lavori da fare e gli utenti si lanciano in maniera frenetica sulle offerte.
Graham, insieme ad alcuni colleghi, ha studiato questo fenomeno negli ultimi anni intervistando circa 120 lavoratori digitali in Africa e in Asia che svolgono i compiti più svariati: programmazione, creazione di contenuti multimediali, traduzioni e “click work” (cioè svolgono attività ripetitive come cliccare “mi piace” sui post di aziende o di utenti presenti sui principali social network).
Gli studiosi hanno chiesto a questi lavoratori cosa ne pensassero di chiedere un aumento di paga o delle condizioni di lavoro migliori e se avessero considerato di iscriversi a un sindacato.
Il sentimento comune per molti di loro è di sentirsi veramente sostituibili. La natura di buona parte di lavoro digitale considera i lavoratori da qualsiasi parte del mondo spinti dentro lo stesso mercato del lavoro e obbligati a competere l’un l’altro per contratti a brevissimo termine: in alcuni casi anche per poche ore di lavoro.
I lavoratori digitali in Kenya sanno che se lasciano il loro lavoro, nelle Filippine possono facilmente prendere il loro posto. I filippini allo stesso modo sanno che i lavoratori indiani possono fare lo stesso lavoro se loro lo rifiutano (lo stesso vale per gli europei e gli americani, ndr). Ogni lavoratore su queste piattaforme digitali sa che ci sono tante altre persone pronte a prendere il loro posto.
Così Graham & Company si chiedono: tutto ciò vuol dire che il lavoro digitale rappresenta uno spostamento verso un mondo fondamentalmente post-sindacale? Un mondo in cui il lavoro è principalmente caratterizzato dalla competizione più che dalla solidarietà tra i lavoratori?
Secondo i ricercatori ci sono tre soluzioni strategiche per un sindacato online evitando una corsa verso il basso in termini di retribuzione e condizioni di lavoro e riportare l’ago della bilancia del potere a favore dei lavoratori digitali.
Reti al posto di gerarchie
La prima cosa da fare, secondo gli studiosi britannici, è impegnarsi di più nel costruire un’identità collettiva dei lavoratori digitali.
Molti lavoratori non vedono l’utilità dei sindacati e molti lavoratori non si riconoscono nemmeno come lavoratori. In tutto ciò, c’è spazio per i cosiddetti gruppi “Freelancers Union” (basti pensare, per citare un caso italiano, ad Acta in Rete, ndr).
È importante notare come organizzazioni di questo tipo che se da un lato promuovono i freelance precari (su un sito web si trovano articoli tipo “I 10 segnali che ti destinano a essere un freelancer”), dall’altro potrebbero essere utili a generare un’identità collettiva tra i lavoratori digitali.
Molti lavoratori, anche digitali, si riuniscono su gruppi Facebook e altri punti di aggregazione digitale per chiacchierare, lamentarsi, condividere opportunità e scambiare conoscenza.
Come ha dimostrato lo studioso Alex Wood, queste reti possono essere la pista di lancio per un attivismo di successo contro le ingiustizie nei luoghi di lavoro. Così, nelle aree dove i sindacati gerarchici o collettivi hanno poca presa, si può guardare invece alle reti orizzontali e a un sindacato online.
Strategie dell’era digitale
Sebbene questi tentativi possano essere utili a generare un’identità collettiva tra i lavoratori digitali, potrebbero non essere sufficienti.
Una seconda strategia per un sindacato online efficace può essere l’attuazione di attività sindacali con un approccio digitale.
Si potrebbe dire che in un mondo di contratti precari a breve termine, con i lavoratori di tutto il mondo che competono a vicenda, sia impossibile emulare efficacemente strategie sindacali di tipo tradizionale.
Anche se i mercati digitali non hanno una collocazione geografica precisa, sarebbe utile dal punto di vista strategico per i lavoratori digitali pensarli in questo modo.
Come un picchetto fisico o offline ferma le attività, uno sciopero digitale potrebbe produrre gli stessi effetti.
Questo solitamente è più efficace quando si colpiscono le grandi aziende orientate ai consumatori in qualsiasi catena del valore, che a loro volta implica la comprensione delle reti di produzione virtuale del lavoro digitale.
Si ritiene Apple responsabile delle scarse condizioni lavorative nelle aziende cinesi della Foxconn o la Nike per le scarpe prodotte nelle fabbriche che sfruttano i lavoratori.
Allo stesso modo si può usare il giornalismo investigativo e gli approcci alla trasparenza radicale verso le aziende come Google o Facebook in giro per il mondo per dimostrare le condizioni misere in cui producono lavoro.
In pratica, bisogna usare un approccio ai media strategico che contrasti la narrazione promossa dalle aziende. Vuol dire che le pratiche scorrette sui posti di lavoro devono essere promosse su Twitter o Instagram tramite hashtag (come #mcdonaldsproblem); grazie ai commenti sulla pagine Facebook o nelle pagine dei risultati dei motori di ricerca tramite il Google-bombing.
Attivismo dei consumatori
Se è vero che queste strategie inchiodano le aziende ad assumere un comportamento responsabile, c’è da dire che possono fare poco per fermare la lotta tra lavoratori nel mercato digitale.
Sarà quindi necessario, insieme al picchetto digitale, fare delle attività a sostegno dei lavoratori che coinvolgano anche i consumatori.
Il boicottaggio dei consumatori verso le aziende che fanno ogni sorta di abuso spesso convince le imprese a ripensare come fornire prodotti e servizi. Probabilmente c’è bisogno pure di spingere le aziende verso la misurazione e la certificazione della correttezza nelle reti di produzione.
Così come sono presenti enti che controllano i prodotti come il caffè o il cioccolato, sarebbe opportuno creare un’istituzione che assicuri l’adesione dei datori di lavoro a determinati standard economici e sociali per i lavoratori digitali?
Così facendo si permetterebbe agli utenti finali dei servizi di manifestare solidarietà verso i lavoratori scegliendo servizi, piattaforme, applicazioni e siti web certificati.
In molti dichiarano che i sindacati hanno poco senso nell’era del lavoro digitale ultra globalizzato.
In effetti, le piattaforme di lavoro online sono sicuramente disegnate per spingere di più verso la competizione che verso la solidarietà tra lavoratori.
Se è vero che tutto ciò fa presagire uno scenario cupo per i lavoratori digitali, rimangono tuttavia delle strategie da adottare per promuovere gli interessi dei lavoratori e un sindacato online.
Da un lato la popolazione mondiale è sempre più connessa a internet e cerca lavoro, dall’altro c’è il rischio potenziale di un peggioramento di retribuzioni e condizioni di lavoro.
Se è vero che è raro notare un senso di competizione tra i lavoratori, allora bisogna trovare i modi per collaborare, unire le forze e costruire alleanze.
Una strada può essere di riconoscere le “location” digitali dei datori di lavoro e delle imprese e affrontarle.
Un’altra può essere il riconoscimento del fatto che dietro le app, i dati, gli algoritmi e i contenuti ci siano i lavoratori.
I lavoratori possono essere sostenuti dagli utenti e dai consumatori se comprendono al meglio come le nostre azioni si ripercuotono attraverso le reti di produzione globale del lavoro digitale.
Articolo originale di Mark Graham: Digital work marketplaces impose a new balance of power
Foto: Jan-Joost Verhoef