Simone Robutti – Developer

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Simone Robutti - Developer

Simone Robutti, 30 anni, residente a Berlino, nel tempo non-libero lavora come Machine Learning Engineer. Ha studiato informatica in Statale a Milano ed è emigrato 3 anni fa.

Nel tempo libero cucina, va in palestra, legge e scrive (poco) di critica tecnologica. È inoltre admin di gambe.ro, parte de Il Connettivo e attivo con Tech Worker Coalition Berlin. Si interessa anche di critica culturale e storia, ha una passione per i té cinesi e per la musica techno e hardbass.

L’ultimo post sui social?
Questo link: https://www.smh.com.au/business/companies/boeing-s-737-max-software-outsourced-to-12-80-an-hour-engineers-20190629-p522h4.html accompagnato dal messaggio: “Free Market delivers”.

L’ultimo video che hai visto su Youtube?
Probabilmente un video di cucina in Cinese con la mia ragazza ieri sera.

Mac, Windows o Linux?
Linux per lavoro, Windows per gaming.

L’ultimo acquisto online?
Contenitori per ghiaccioli.

Un libro che ha segnato la tua vita?
L’ozio come stile di vita, oppure uno dei libri di Osho che ho letto in adolescenza. Nonostante il personaggio fosse esecrabile tanto quanto il messaggio, ha plasmato il mio modo di vivere più di tante altre letture.

Quale è stato il progetto lavorativo che più ti ha segnato?
Sistema di marketing real time per una grossa banca, basato sulla profilazione usando transazioni con carta di credito. Primo impiego, totalmente non preparato. Ho imparato in fretta quanto sia facile disconnettere le persone dal male che fanno per guadagnarsi uno stipendio.

Quando hai deciso di diventare Developer?
Ho iniziato ad usare intensivamente il computer intorno ai 4 anni. Non è mai stata una vera decisione, ma un futuro inevitabile. Col senno di poi sono contento di come sia andata.

Nella tua carriera, ha contato più lo studio (da autodidatta o scolastico-professionale) o l’esperienza pratica?
Decisamente lo studio. Tuttavia l’esperienza sviluppata nel primo team serio con cui ho lavorato ha impostato una serie di standard qualitativi e aspetttive che dai libri non avrei ricevuto.

Il primo colloquio non si scorda mai: hai qualche curiosità da raccontare?
Mi ero laureato da tre giorni e feci il primo colloquio per una posizione da sviluppatore Scala. Andato piuttosto bene ma subito dopo, dietro le quinte, ci fu un’accesa discussione se rifiutarmi perché avevo messo un improbabile voce “Scala: Intermediate” nel CV. Nessuno può essere “Scala: Intermediate” appena uscito dall’università. Alla fine mi presero ma la storia venne fuori mesi dopo e a 5 anni di distanza, un paio di ex-colleghi mi prendono ancora in giro.

Cosa consigli ai giovani che vogliono diventare Developer come te?
Di non chiudersi solo sui libri di programmazione e battere forsennatamente sulla tastiera. Il lavoro dell’informatico è prima di tutto parlare, discutere e dibattere e solo dopo implementare. Un altro consiglio è di coltivare altri interessi, rifiutando gli standard culturali e sociali forzati dalla comunità e dal settore IT: questi ci hanno dato una generazione di informatici con seri problemi di adattamento sociale, problemi psicologici e un rapporto molto malsano col lavoro.

Internet ha cambiato il mondo del lavoro in Italia. Come?
Una domanda complessa: in Italia, al contrario che all’estero, si fa troppa poca critica dei cambiamenti  tecnologici, percepiti come qualcosa di esterno e di cui si può importare la critica senza adattarla alle peculiarità italiane. Non me la sento di rispondere perché qualsiasi risposta sarebbe eccessivamente parziale.

Serve un sindacato dei Networkers? Se sì, come te lo immagini?
Assolutamente sì. Io sono parte di Tech Worker Coalition che in America sta facendo un sacco di lavoro sul ripensare le organizzazioni sindacali intorno alla tecnologia e sta supportando numerose organizzazioni sindacali e parasindacali con risultati ottimi, fornendo l’impianto culturale e ideologico per  mettere dalla stessa parte della barricata programmatori, service-workers, platform-workers e tante altre categorie eterogenee.

Il lavoro cambia troppo in fretta per avere sindacati statici come quelli del passato. Il sindacato deve reinventarsi per organizzare comunità di lavoro diverse tra loro e in continua evoluzione. Un meta-sindacato in grado di materializzarsi in forme diverse in contesti diversi, conservando e moltiplicando le forze di tutte le parti coinvolte.

Descrivi la tua professione in modo chiaro e diretto in modo che anche mia nonna possa capirla.
Batto su una tastiera per generare magia che permette alle automobili di far sapere a chi te l’ha venduta che si sta per rompere o che hai appena avuto un incidente.

L’organizzazione ‘classica’ del lavoro (orari rigidi e cartellino da timbrare) ha senso per un networker?
L’organizzazione classica del lavoro era strutturata intorno a limiti tecnologici ormai scomparsi. Ha smesso di aver senso tempo fa per tantissime categorie professionali. Ci si sta pian piano adattando e non necessariamente con un miglioramento delle condizioni dei lavoratori.

Quanti sono i tuoi amici sui social network, quanti di questi conosci davvero e quanti frequenti anche “off-line”?
Qualche centinaio su Facebook, su cui comunque non sono molto attivo. Su Telegram molti di più ed è la mia piattaforma di riferimento. Conoscere davvero? Penso nessuno. Sto ancora lavorando sul conoscere me stesso, poi penserò agli altri. Off-line ne frequento forse una dozzina regolarmente e un centinaio almeno una volta l’anno, quando torno in Italia.

Prima di incontrare qualcuno che non conosci fai una ricerca su Google? Se no, perché?
Assolutamente sì. La propria presenza online ormai è parte integrante della propria identità. Se qualche anno fa un’azione del genere sarebbe potuta passare come un’invasione del privato, ora non è più considerata tale e quindi è tanto legittima quanto far caso a come una persona si veste o al modo in cui parla.

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