Una delle sfide più difficili e allo stesso tempo più avvincente per i sindacati, soprattutto in questi ultimi decenni con lo sviluppo della digitalizzazione del lavoro, è quella di organizzare gli informatici italiani.
Uno spunto interessante da osservare, in tal senso, è l’impegno “dal basso” che a livello internazionale già vede attivi i partecipanti alla Tech Workers Coalition, un gruppo di lavoratori del settore tecnologico presente soprattutto in alcune città degli Stati Uniti (da Boston a New York, da Chicago a Los Angeles, da Seattle a San Francisco, giusto per citarne alcune), a Londra e a Berlino.
Simone Robutti, programmatore italiano che lavora a Berlino, che abbiamo già conosciuto nella nostra rubrica “Personaggi tecnologici”, si sta lanciando nell’impresa di creare il primo movimento TWC in Italia.
Per iniziare a creare attenzione sulle condizioni di lavoro dei lavoratori digitali, Simone ha realizzato il “Workers’ Inquiry”, progetto già elaborato dai tech workers statunitensi, ma adattato al contesto italiano.
“L’inchiesta sul lavoro informatico – come ci racconta Simone – punta a spingere i partecipanti verso un’analisi e un’introspezione a cui non sono abituati. Si pone il problema di indagare la dimensione sia emotiva che materiale del lavoratore tecnologico”.
Lo scopo primario è di fornire un formato di base da adattare poi a situazioni e realtà specifiche.
In particolare, l’inchiesta è pensata per essere utilizzata in eventi di circa due ore strutturati attorno al seguente format: introduzione, presentazione, lavoro in coppia, lavoro in diversi gruppi, riunione in un gruppo unico e condivisione delle posizioni dei partecipanti, conclusione.
“In USA – prosegue Robutti -, TWC usa questo strumento per entrare nelle aziende, soprattutto quelle grosse e sondare se il terreno è fertile per attività di organizzazione a più ampio spettro. Se il malcontento è forte, una sessione di Workers’ Inquiry con qualche decina di partecipanti è più che sufficiente a farlo emergere e vedere i lavoratori discutere e condividere le proprie esperienze, spesso formando le basi per gli scioperi che abbiamo visto in ambito Tech negli ultimi anni. Non tutti sono iniziati da una sessione di Inquiry, ma TWC è ferma nell’attribuire un ruolo primario a questo strumento nella loro pratica attuale”.
In Italia si deve tenere l’incontro di battesimo dell’iniziativa, ci confessa Simone. Tuttavia, una prima iniziativa dovrebbe partire entro metà aprile 2020.
Un punto importante del documento è dedicato al cosiddetto “body rental”, un fenomeno in chiaroscuro (dato che in Italia sarebbe illegale, poiché si prevede la somministrazione di lavoro con tutte le tutele del caso) particolarmente pervasivo dell’IT italiano attuato con diversi escamotage dalle aziende del settore.
Durante le fasi di confronto, nello specifico, i lavoratori provano a riflettere sul significato del body rental, se hanno avuto esperienze lavorative del genere, quali conseguenze economiche può portare e come si potrebbe cambiare lo stato delle cose.
Certo, non è tutto in discesa. C’è la consapevolezza che non è un’impresa facile: “Si cerca di entrare in uno spazio comunicativo e linguistico specifico del settore tecnologico per raggiungere un target spesso molto ostile a tutto quello che è organizzazione del lavoro, politica e critica tecnologica” commenta Robutti.
Tuttavia, la Workers’ Inquiry italiana sarà un’iniziativa che tenterà un nuovo approccio all’organizzazione sindacale dei lavoratori informatici in Italia.
Come precisa Simone, “il tutto mantenendo l’attività relativamente leggera e positiva per il lavoratore. Il rischio di renderla un’esperienza noiosa e asettica è alto e condannerebbe lo strumento ai fallimenti che hanno costellato alcune delle forme in cui è stato proposto da movimenti venuti prima del nostro. In un mondo in cui il capitalismo è predatorio verso la nostra attenzione ed energia mentale, non possiamo permetterci di ignorare un elemento del genere”.
L’inchiesta sul lavoro informatico in Italia è un documento aperto ed è possibile contribuire tramite GitHub.