Siamo tutti schiavi del clic? Parte da questo assunto “Schiavi del clic”, il libro inchiesta sul nuovo capitalismo delle piattaforme di Antonio Casilli, sociologo, docente all’università Télécom di Parigi e ricercatore associato alla Scuola di studi superiori in scienze sociali.
Pubblicato nel nostro Paese a settembre 2020, il testo ha il pregio di raccontare in maniera chiara e semplice l’evoluzione del lavoro seguendo tre filoni: il microlavoro, il digital labor e il lavoro sociale in rete.
Casilli ha avuto la capacità e la competenza di riprendere le teorie economiche, sociali e giuridiche che nei secoli si sono avvicendate e rileggerle in una chiave quanto mai attuale e precisa.
La tesi principale spiegata dall’autore è la mancanza di una coscienza e di una solidarietà di classe a ostacolare oggi la strutturazione di un orizzonte di lotte intorno al digital labor.
Un fenomeno di quel lavoro spezzettato e datificato che serve ad addestrare i sistemi automatici che è stato reso possibile da due tendenze storiche: l’esternalizzazione del lavoro e la sua parcellizzazione.
Queste due tendenze sono apparse in momenti diversi e si sono sviluppate seguendo cicli disallineati, fino a che le tecnologie dell’informazione e della comunicazione non le hanno fatte convergere.
Secondo il sociologo italiano trapiantato nella capitale francese, per superare lo sfruttamento attuale bisogna mettere da parte la retorica schiavistica, perché è proprio questa retorica che impedisce di vedere in che misura tutti i lavoratori del clic non sono servi esclusi dal corpo sociale ma, al contrario, costituiscono una collettività in cerca di coscienza e portatrice di una missione storica di emancipazione.
Il libro che – con un ventaglio ricco di esempi e con un’approfondita bibliografia – consente al lettore di avere un quadro complessivo sul fenomeno del lavoro tramite piattaforme digitali che finora difficilmente è stato raggiunto.
Il volume dal titolo “Schiavi del clic” porta avanti tre filoni: microlavoro, digital labor e lavoro sociale in rete
In tal senso, anche aver ripercorso il significato del termine piattaforma nel tempo e sotto vari punti di vista, offre una decisa conferma della volontà dell’autore di andare fino in fondo nello scoprire gli altarini della rivoluzione tecnologica.
La panoramica esaustiva di esperienze lavorative all’ombra dell’intelligenza artificiale fa capire facilmente come le dinamiche di questo fenomeno tecnologico fondino le radici nell’organizzazione del lavoro che da secoli si ripete e che non fa differenza tra Nord e Sud del mondo.
Basta pensare alle “digital farm” o alle “click farm” presenti in India, Pakistan, Bangladesh, Nepal, Indonesia e Sri Lanka, così come nelle zone svantaggiate del Nord dove le immagini dei media generalisti hanno mostrato appartamenti che ospitavano decine di persone impegnate a cliccare su centinaia di smartphone.
Chiaramente non mancano i riferimenti più comuni alle pratiche lavorative opache dei big tecnologici da Amazon, Facebook, Uber e Google per passare alle esperienze dei fattorini delle consegne a domicilio, e una vasta casistica che sfata il mito della completa automazione dei processi lavorativi svolti finora dall’essere umano.
Casilli, introducendo le battaglie sindacali e quelle nate “dal basso” per garantire diritti e tutele ai lavoratori digitali, chiude il suo libro proponendo alcune soluzioni, anche già in atto nel panorama internazionale: dal cooperativismo di piattaforma alla proposta – anche se radicale – di un reddito sociale digitale.
Tra le proposte, cooperativismo e perfino un reddito sociale digitale
Sempre con quella capacità di analisi che mostra limiti e opportunità in maniera equilibrata.
Questo perché, secondo l’autore, un’altra piattaformizzazione del lavoro è possibile.
Perché, come si può leggere nella postfazione di Dominique Méda, la tesi di Casilli è potente: non soltanto non c’è e non ci sarà nessuna grande sostituzione degli umani da parte dei robot, ma non per questo il futuro sarà più roseo.
Articolo tratto dal n° 3/2020 di Partecipazione