Rider, perché a qualcuno piace il cottimo?

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Rider, perché a qualcuno piace il cottimo?

L’accordo collettivo per i fattorini delle consegne a domicilio, i famosi rider, firmato da Ugl e Assodelivery il 25 settembre 2020 ha animato un pezzo del recente dibattito sindacale italiano.

Al netto degli strascichi politici e giudiziari che potrà avere da qui ai prossimi anni, le considerazioni che andrebbero fatte sul fenomeno del lavoro tramite piattaforme digitali sono molteplici.

Rider, sentenze e leggi in Europa

Innanzitutto possiamo dire che siamo di fronte a un fenomeno internazionale che prova a scardinare, nei singoli Paesi, gli ordinamenti giuridici del mercato del lavoro.

Basta un esempio recente: in Svizzera, Uber Eats ha dovuto applicare la legge prevista dal cantone di Ginevra convertendo in subordinati i contratti di circa 500 rider, nonostante il ricorso fatto dall’azienda statunitense e il rifiuto alla sospensione del provvedimento del tribunale federale che ha obbligato l’azienda alla riconversione dei contratti garantendo i diritti meritati ai rider del colosso californiano.

Come dire, intanto si garantisce ai lavoratori un lavoro dignitoso, poi si vedrà.

Stessa sorte è capitata da poche settimane ai rider di Glovo spagnoli, dove la Corte suprema (è come la nostra Corte di Cassazione) ha dichiarato che sono “falsi autonomi” e l’azienda spagnola dovrà applicare le tutele della subordinazione ai propri glovers delle consegne “all-delivery”.

Stessa sorte in Spagna è capitata a Deliveroo. Un tribunale di Barcellona ha stabilito che 748 rider di Deliveroo non erano lavoratori autonomi, ma avevano un rapporto da dipendenti con l’azienda.

Rider, leggi e sentenze in Italia

Invece in Italia, col suddetto accordo, si è provato ad aggirare le tutele della subordinazione previste dal Jobs Act e confermate dalla famosa sentenza della Cassazione sui rider ex-Foodora, oltre che dalla legge 128 del 2 novembre 2019 varata proprio per disciplinare il lavoro delle consegne a domicilio tramite piattaforme, anche digitali.

In ultimo, la sentenza del 24 novembre 2020 pronunciata da Paola Marino, Giudice del Lavoro del Tribunale di Palermo, nei confronti di un fattorino di Glovo, sicuramente farà discutere: il giudice ha condannato l’azienda spagnola a reintegrare nel posto di lavoro il rider e applicare il Ccnl Terziario Distribuzione Servizi (che prevede, al sesto livello, le mansioni del ciclofattorino) oltre a pagargli le differenze retributive e le spese legali.

Stante il quadro giudiziario in continua evoluzione, possiamo dire che l’accordo firmato da Ugl-Assodelivery è migliorativo, sì, ma per le aziende. L’importante è stato mantenere lo status quo e scaricare ancora una volta il costo del lavoro e il rischio di impresa sulle spalle dei lavoratori.

La comunicazione delle aziende del food delivery

Altro punto è la strategia comunicativa messa in atto dalle piattaforme digitali, non solo quelle delle consegne ma da tutto il mondo del lavoro mediato online tramite app.

Basta leggere i testi presenti sui siti web delle aziende per capire che il contrasto tra quanto scritto e quanto succede nella realtà quotidiana di un rider stride per molti aspetti.

Uno in particolare ci piace (si fa per dire!) mettere in risalto: non si parla mai di lavoro ma di opportunità di guadagno. Come se il concetto di lavoro portasse un concetto di diritti e tutele che le società del food delivery cercano in qualche modo di evitare.

Quando è inevitabile, si specifica che siamo di fronte un lavoro autonomo.

Deliveroo, per esempio, è famosa per il suo vocabolario, dopo l’inchiesta del 2017 pubblicata dal Financial Times: non esiste il ”turno” ma la “disponibilità”, non si firma un “contratto” ma un “accordo di fornitura”. E poi: nessuno di loro (i rider, mica fattorini!) lavora “per” Deliveroo, ma “con” Deliveroo; non s’inizia una “sessione di lavoro” ma si fa il “log in”. Come dire, le parole sono importanti!

Rider contro rider: ecco perché

Nella precarietà della condizione lavorativa che oggi stiamo affrontando, il meccanismo del “vincitore pigliatutto” attuato dalle piattaforme digitali di lavoro, dove un’imprecisa e mutevole minoranza di lavoratori riesce a lavorare in maniera continuativa e facendo anche guadagni buoni (certo, seppur lavorando con ritmi al di fuori delle “classiche” 40 ore settimanali) e una altrettanto variabile maggioranza di fattorini che competono tra di loro per avere delle ore di lavoro scalando le posizioni della classifica (del ranking, direbbero le piattaforme) per avere una posizione di vantaggio rispetto agli altri nell’assegnazione delle ore, emerge ancora una volta più forte con la firma dell’accordo fatto tra Ugl e Assodelivery.

Un meccanismo che ci porta a notare anche degli aspetti psicologici e sociologici che hanno una definizione precisa: si parla infatti del cosiddetto fenomeno del “token”, come spiega bene Chiara Volpato nel suo libro “Le radici psicologiche della disuguaglianza”.

In pratica, nel caso in questione il token (cioè, l’eletto) è quel rider o quel gruppo di rider “vincitori” che viene preso (più o meno a sua insaputa) dalle piattaforme per poter confermare il suo modello di business e garantire a tutti che è buono e va preso come esempio per affermare che si può essere imprenditori di se stessi, che si può lavorare come e quando si vuole e avere tante opportunità di guadagno.

Sono gli altri rider, gli scansafatiche, gli studentelli che arrotondano con il lavoretto, quelli che vogliono il posto fisso con i diritti e le tutele, che non riescono a fare bene il loro lavoro e per questo sono relegati in fondo alle classifiche delle statistiche dettate unilateralmente dalle società che gestiscono le app delle consegne a domicilio.

A parere di chi scrive, in tutta questa vicenda dell’accordo di dubbia legittimità, come giustamente scrivono in un volantino Cgil, Cisl e Uil, la vera sconfitta è stata firmata da quei rider che hanno accettato (?), in maniera più o meno consapevole, questo gioco da parte delle piattaforme e da chi sta tentando di rappresentarli.

Se le società che gestiscono le piattaforme digitali volevano prendere tempo per continuare il loro business, magari perché dettato da logiche internazionali di “alta finanza”, beh, al momento possiamo solo dire che ci sono riuscite.

Chiaramente era un rischio prevedibile tuttavia evitabile. Sarebbe bastato assumersi giusto un po’ di responsabilità sociale d’impresa da parte delle aziende per scongiurare un esito così riprovevole. Soprattutto dopo l’incontro del 3 agosto al Ministero del lavoro insieme a Cgil, Cisl, Uil, la rete “Rider X i Diritti” e Assodelivery.

Tutele e diritti per i rider: cosa succede ora?

Tuttavia qualcosa sembra muoversi negli ultimi mesi.

Dopo la giornata di mobilitazione nazionale dei rider del 30 ottobre proclamata dai sindacati confederali e la rete nazionale dei “Rider X i Diritti” in decine di piazze italiane e le successive proteste messe in atto dal 3 novembre – data di entrata in vigore dell’accordo Assodelivery-Ugl che è coincisa con un calo generalizzato delle tariffe di consegna – hanno riportato al tavolo ministeriale Assodelivery per provare a riprendere la discussione iniziata prima delle ferie estive.

Ci troviamo al punto in cui sindacati e aziende delle consegne a domicilio tramite app stanno lavorando per definire a livello nazionale un protocollo di contrasto al caporalato digitale nel food delivery, un’intesa su salute e sicurezza per contrastare la diffusione del Covid19 e soprattutto per definire un accordo che possa garantire tutele e diritti ai fattorini, a partire dal tema cruciale della paga oraria contro il pagamento a cottimo.

Se per i primi due documenti la strada sembra già spianata dalla buona pratica del protocollo siglato il 6 novembre 2020 in Prefettura a Milano e dai protocolli nazionali siglati dalle parti sociali e il governo lo scorso aprile, sulla contrattazione collettiva rimane il nodo più grosso da sciogliere.

Una partita dunque che può finire con diversi risultati, anche alla luce della recente fuoriuscita di Just Eat dall’associazione datoriale Assodelivery e l’annuncio di voler assumere i propri fattorini a partire dal 2021.

Da una forma di contrattazione collettiva che garantisca condizioni eque e dignitose ai lavoratori, ad approdare nelle aule dei tribunali a colpi di sentenze, il passo può essere breve. Questo scenario ci offre tuttavia una certezza: sarà una battaglia lunga e complessa in cui il sindacato può giocare solo per vincere.


Articolo tratto dal periodico UILTuCS Partecipazione 3/2020

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