Lavoro e famiglia: conciliare si può ma non è facile

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MILANO – Lavoro e famiglia: conciliare le due possibilità si può, forse, ma certamente non è facile.

Una ricerca dell’Ocse, appena pubblicata, rileva come in Italia il tasso di attività femminile si attesti al 50,1%, contro una media nei paesi Ocse del 65%.

Gli ultimi dati Istat invece rilevano che le donne italiane oltre a percepire, a parità di posizione, uno stipendio medio inferiore del 20% a quello del collega uomo, sono quelle su cui più grava la cura dei figli e della casa (nel 71,3% dei casi) o di parenti anziani.

Conciliare casa e lavoro quindi è un’impresa sempre più difficile, vista anche la mancanza di adeguate politiche di work-life balance -il bilanciamento tra ritmi di vita e di lavoro- attuate invece in altri paesi Ue.

IL SOGNO – Ecco perché lavorare da casa -tramite un pc portatile e una connessione internet- sta diventando il sogno proibito di molti, soprattutto donne. Lo sogna almeno il 33% delle donne italiane, dice una ricerca svolta da casa.it, noto portale immobiliare. Una donna su tre –afferma la ricerca- vorrebbe portare il lavoro a casa, stabilmente o ‘’almeno un paio di giorni la settimana’’, risparmiando così tempo e denaro e garantendo comunque il lavoro richiesto.

Il telelavoro però è ancora poco applicato nel Paese: lo usano solamente 55mila persone (dati Isfol) cioè appena il 7% dei dipendenti delle aziende con contratti che lo prevedono. La richiesta invece è molto forte e si può ben capire poiché la formula comporta un netto miglioramento della qualità della vita e può avere ricadute molto positive anche sui risultati lavorativi.

IL PROGETTO – Una possibilità ben compresa anche dal Comune di Torino che sta per inaugurare un progetto pilota di telelavoro, inizialmente dedicato a venti lavoratrici (l’opportunità sarà poi offerta anche a colleghi maschi). L’iniziativa dell’Amministrazione nasce dell’assessore alle pari opportunità Maria Cristina Spinosa: il progetto durerà dieci mesi e coinvolgerà, per ora, venti dipendenti provenienti da settori diversi del Comune.

Avranno priorità le lavoratrici con problemi di handicap o di assistenza a un familiare; se l’iniziativa funzionerà, sarà allargata e potrà, in prospettiva, coinvolgere fino a 1000 dipendenti. L’esperimento che ha raccolto molti consensi, già prima della partenza, ha un vantaggio: i costi sono modesti, visto che per attuarlo basta un pc portatile e una buona connessione per ogni lavoratrice, oltre ad un pò di formazione e a un servizio di assistenza tecnica.

Il Comune comunque ha presentato una domanda di contributo, di 30 mila euro, alla Regione Piemonte attraverso la partecipazione a un bando regionale sulle pari opportunità per cofinanziare l’iniziativa. Una buona notizia, tanto più in concomitanza con la festa della donna: certamente un segnale positivo nella direzione di aiutare il lavoro femminile.

WORKLIFE BALANCE – Per favorire il lavoro in rosa è essenziale bilanciare i ritmi casa-lavoro, una esigenza sempre più sentita dalle donne. Una ricerca di Endererd -società di servizi alle imprese- dimostra la crescente richiesta di servizi legati alla persona e al nucleo familiare (richiesta espressa dall’88,5% delle interpellate) e, allo stesso tempo, una profonda insoddisfazione di quanto attualmente offerto dalle aziende (lo dice il 48, 7% delle intervistate, quasi una su due).

I BUONI PER L’ASILO – La mancanza di un’efficace politica di work-life balance da parte delle imprese lascia però un interessante spazio di sviluppo per soluzioni innovative, già sperimentate in numerosi paesi europei, come i “voucher” o buoni servizi: sostegni finanziari elargiti dallo Stato, attraverso ‘buoni’ spendibili in un network di strutture convenzionate come asili nido, scuole materne, strutture d’assistenza socio-sanitarie. I Voucher hanno funzionato bene nel Regno Unito, in Francia e in Belgio, dimostrando un grande potenziale nel migliorare l’engagement delle donne già impiegate e limitare la fuoriuscita professionale delle risorse femminili.

In Italia ci sono state alcune esperienze a livello regionale (per esempio il bonus bebè in Piemonte) e sembra crescere la consapevolezza sulla questione. E’ in aumento anche il numero delle aziende che adottano bonus come il ticket family, rivolto alle cure per la persona (spendibile negli asili nido, in strutture assistenza agli anziani e via dicendo) o il ticket cultura (spendibile in una rete di teatri, cinema, librerie);  bonus che hanno la stessa logica dei Ticket Restaurant.

Si tratta in questi casi di scelte di welfare aziendale che non possono, e non devono, sostituire il ruolo dell’ente pubblico,  ma possono integrarlo.

 

di Giuseppe de Paoli