Come ridare fiducia all’impresa e al lavoro in Italia?

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MILANO – “E’ un mondo difficile”, verrebbe da dire, citando il noto refrain di Manu Chao, in cui la parola più evocata, ascoltata e odiata, di questi tempi è: incertezza. In qualsiasi ambito della nostra vita sociale il tema della precarietà, instabilità, insicurezza è dominante. Un profondo senso di solitudine che in alcuni casi estremi produce azioni tragiche. Come uscire, allora, dall’incertezza dei Nuovi Tempi Moderni? Se l’è chiesto l’Ingegner Lorenzo Malgieri, partner e amministratore delegato della società di consulenza direzionale TopSource, organizzatore (lo scorso febbraio alle “Stelline” di Milano) di un interessante convegno dal titolo indicativo: “La certezza in azienda”.

Si è trattato di un incontro, per certi versi ambizioso, che ha toccato il tema di fondo delle nostre società contemporanee provando a ragionare sugli aspetti generali, anche filosofici (con il professor Costantino Esposito, Ordinario di Storia della filosofia presso l’Università di Bari), dell’incertezza, per poi giungere ad indicare delle vie possibili per ricostruire la fiducia e quindi la certezza nel nostro Paese, nelle imprese e nel mondo del lavoro. Molte delle idee esposte e discusse in quell’occasione, le riproponiamo in questa intervista “fiume”.

L’ingegner Malgieri vanta una pluriennale e significativa esperienza come top manager in importanti aziende italiane, come Fiat e Eni, oltre ad una importante attività in relazione al commercio internazionale, ricoprendo ruoli in diverse Istituzioni finalizzate alla promozione dell’internazionalizzazione delle imprese. Dal 2007 è partner di TopSource, società che annovera tra i suoi clienti: Sky, RCS Mediagroup, Accenture, DHL, Gruppo Banca Carige, solo per citare alcuni nomi più conosciuti.

Ingegner Malgieri, viviamo in un’epoca dominata dall’incertezza, per le imprese come per il lavoro.Cosa vuol dire “incertezza” di questi tempi?

Il tema dell’incertezza è strettamente legato al tema della fiducia: sono le due facce della stessa medaglia. Se manca la fiducia c’è incertezza. E quello che manca in questo momento è proprio la fiducia. In un contesto in cui abbiamo difficoltà ad avere fiducia è poco probabile che scatti la certezza. Si pensi ai mercati finanziari, solo per fare un esempio: vivono di fiducia e senza di essa vanno giù pesantemente. La stessa dinamica è estendibile a molti degli ambiti della nostra vita economica, produttiva e occupazionale. La parola d’ordine è la fiducia. Dobbiamo ripartire, in questo senso, da un atteggiamento a tre tappe: riconoscere il presente, acquisire fiducia e costruire il futuro.

In che modo, a questo punto, si può ridare fiducia al Paese?

Partiamo da quello che sta succedendo in questi giorni in riferimento alla trattativa sulla riforma del mercato del lavoro proposta dal Governo Monti, al quale riconosco il grande merito di aver acceso i riflettori su tematiche e problemi reali ed attuali, dei quali sembrava che fosse impossibile parlare. Le parti sociali sedute intorno a quel tavolo, a me pare, non sembrano ispirate ad una cultura della fiducia, ma sembra prevalente la cultura del sospetto. Quello che colgo, leggendo i giornali e le cronache della trattativa di questi giorni, (che ha portato ad un verbale di accordo senza la CGIL) è un atteggiamento di fondo in cui i temi affrontati fanno trasparire una reciproca sfiducia. Con la cultura del sospetto non si va da nessuna parte e non si costruiscono accordi.

Questa riforma non alimenta fiducia. Come possiamo ripartire, allora?

A mio avviso andrebbe recuperato lo spirito positivo dell’Italia del dopoguerra in cui bisognava ricostruire un’Italia distrutta. Quello spirito e quell’atteggiamento individuale e collettivo di fiducia verso il futuro ha prodotto il boom economico e la ricostruzione del nostro Paese. In un contesto di fiducia verso il futuro, le imprese possono riprendere ad investire a medio e lungo termine, innescando un circolo virtuoso con ricadute positive sul mercato del lavoro e sull’economia più in generale.

La fiducia è un fatto individuale o oggettivo? In altri termini, lo sforzo per recuperare fiducia, è possibile individualmente oppure è necessaria una spinta decisiva da parte dello Stato, delle Istituzioni, dei corpi intermedi della società?

“Quando il vento ed il mare cambiano, affidati ad una guida sicura” si potrebbe dire parafrasando Seneca. La fiducia deve portare a delle decisioni operative di tipo oggettivo: lo Stato, la società, i corpi intermedi sono decisivi, ma ancor di più le persone che le guidano. Quando ho letto sui giornali della scorsa settimana di quell’imprenditore suicidatosi, ho sentito un profondo malessere. Un gesto estremo non isolato, di questi tempi, tra gli imprenditori. Di fronte questa drammaticità dell’incertezza e della solitudine, il tema della fiducia non può essere qualcosa di etereo: la fiducia sorge attraverso gesti concreti, fatti da persone concrete e che si esprimono attraverso strumenti, organismi, corpi intermedi.

Un primo atto di fiducia concreta riguarda le banche e il loro ruolo. Tutte le teorie economiche riconoscono il ruolo centrale del sistema bancario per favorire e sostenere lo sviluppo economico e la conseguente crescita occupazionale. In questi anni le banche hanno deviato, rispetto alla loro funzione originaria e naturale, privilegiando una pratica di finanziarizzazione e dimenticando il sostegno all’economia reale, alla produzione e alla crescita economica. Occorre un cambio di rotta e ritornare ad un sistema bancario indirizzato verso l’economia e meno verso la finanza e rendere disponibile, di nuovo, il credito per le imprese.

Inoltre bisogna ripartire da ciò che abbiamo, piuttosto che lamentarci di ciò che non abbiamo. Certamente l’Italia non ha risorse energetiche ma allo stesso tempo ha una grande tradizione culturale ed anche il più grande patrimonio storico, artistico e archeologico del Mondo. Siamo conosciuti ovunque per la nostra creatività, altro capitale fondamentale per la nuova economia. E la creatività non è solo il risultato del singolo genio, ma è la sintesi di un popolo, e quindi è un fatto non solo individuale, ma per certi versi anche collettivo. Il genio è colui che sintetizza ed esprime qualcosa che c’è nell’aria.

Il titolo del convegno da Lei organizzato sulla certezza, declinava il concetto in azienda. Ma l’azienda è ancora il luogo della fiducia? Si pensi alle tante partite Iva che sono presenti nel settore digitale (160 mila) e alla precarietà contrattuale diffusa alla quale ricorrono, spesso per esigenze di riduzione del costo, molte medie e piccole imprese.

Lei ha toccato uno dei punti centrali nel mercato del lavoro in settori avanzati come l’ICT. Con TopSource supportiamo diverse funzioni aziendali, dal marketing alle risorse umane, dal finance alla supply chain, guidando il cambiamento organizzativo, in aziende di diverse dimensioni. L’ICT è sicuramente uno dei nostri settori più importanti di intervento. Ebbene, la forte presenza di partite Iva nel settore è assolutamente connaturata alle caratteristiche di questo mercato del lavoro che richiede professionisti (con una significativa seniority e conoscenza professionale) da coinvolgere in singoli progetti. Personalmente mi è capitato più volte di proporre l’assunzione a tanti professionisti ICT i quali mi hanno risposto picche. Siamo in presenza di tanti professionisti ICT realmente autonomi e che si muovono liberamente sul mercato. Per queste ragioni trovo penalizzante la proposta inserita nell’ipotesi di riforma del lavoro del Governo Monti che, in relazione alle partite Iva, introduce le tre condizioni automatiche che la trasformano in contratto a tempo indeterminato: 75% di lavoro prevalente in una sola azienda per almeno 6 mesi in un anno e con la presenza stabile nell’ufficio del cliente. Sui giornali, in questi giorni, assistiamo ad una sorta di criminalizzazione generalizzata delle partite Ive e questo è un errore, perché la realtà è molto più complessa e diversificata.

Diversa valutazione, invece, sulla ipotesi di introdurre degli ammortizzatori sociali anche per le partite Iva e ed i contratti a progetto.

Gli ammortizzatori sociali sicuramente sono sempre benvenuti e vanno dimensionati in funzione della tipologia di professionalità e di mercato, anche per le partite Iva. Vedi l’esempio della cassa edile che copre i cosiddetti “periodi bui”. Un meccanismo del genere ben venga, ma che debba essere un meccanismo visto in positivo. Anche un incentivo all’assunzione è certamente positivo ed una strada percorribile.

Ma non deve diventare un aspetto repressivo, cioè un automatismo di trasformazione in contratto a tempo indeterminato, perché non tutti vogliono farsi assumere, non solo, ma non tutte le professionalità possono trovare la stessa continuità nella stessa azienda sia nell’anno che negli anni. Ho l’impressione che si voglia estendere condizioni proprie dell’industria, quella metalmeccanica e chimica ad esempio, a tutti gli altri settori produttivi. La cosa deve avvenire su base volontaria. Deve essere una libera scelta.

Tra le funzioni della sua azienda c’è anche l’attività di ricerca e selezione del personale per i Vostri clienti. Che tipo di contratto di lavoro, in genere, propongono le aziende per i professionisti ICT? E voi, di solito, da questo punto di vista, come vi regolate?

Dicevamo prima che occorre un percorso a tre tappe: partiamo dal riconoscere il presente. In base ai dati in nostro possesso possiamo dire che le richieste sono sempre correlate ad almeno tre fattori: il tipo di intervento richiesto, la tipologia di specializzazione richiesta e l’andamento del mercato. La necessità di disporre quotidianamente di professionalità informatiche per la gestione e implementazione dei propri sistemi informativi, stimola le grandi aziende, così come le piccole e medie imprese, ad offrire contratti a tempo indeterminato o di inserimento, a prescindere dal settore aziendale di appartenenza, con particolare attenzione alle figure specializzate su sistemi di gestione ed help desk. Nel caso di aziende che erogano servizi consulenziali ICT, notiamo che assume importanza anche il fattore della dimensione aziendale. Realtà di grandi dimensioni, infatti, grazie probabilmente ad un numero elevato di progetti e di clienti, tendono ad offrire contratti a tempo indeterminato e a rivolgersi ad un parco di candidati molto giovani attraverso contratti di apprendistato. Realtà più piccole, invece, unitamente a contratti di inserimento per favorire l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, propongono contratti di collaborazioni più flessibili (co.co.pro. e P.IVA), legati alla realizzazione dei progetti di volta in volta attivati, incontrando l’interesse di quei professionisti che trovano conveniente collaborare con diverse aziende su singoli progetti, con durate spesso superiori ai limiti previsti dalla ipotesi di riforma del lavoro del Governo Monti. Il parametro economico di riferimento nelle contrattazioni è il cosiddetto FTE, il costo totale aziendale; una volta fissato, ne derivano gli importi che vengono poi riportati nei contratti, a seconda se si tratti di collaborazioni o assunzioni, senza pertanto che la tipologia di contratto influenzi il valore della professionalità. Anzi, al contrario, la collaborazione circoscritta nel tempo consente al professionista di spuntare importi maggiori.

E comunque non é solo il quadro contrattuale e legislativo che farà acquisire fiducia: è la stima reciproca tra manager, lavoratori, imprenditori, professionisti, ed il guardarsi in azione libero da pregiudizi, che può permettere di riconoscere il presente, acquisire fiducia e costruire il futuro.

 

di Filippo Di Nardo