Claudio Gagliardini – Web content specialist

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Classe 1970, non propriamente un nativo digitale, inizia ad apprezzare le potenzialità dei futuri PC giocando con il Vic 20 e il Commodore 64. Il suo rapporto con il web cambia definitivamente con l’avvento dei social media, con particolare riferimento a Twitter, da diversi anni la sua “seconda casa digitale”.

Relatore di numerosi workshop in Italia, tra gli organizzatori dei Tweet Awards e di numerose iniziative online, collabora da diversi anni con Studio Boraso.com a Milano dove segue diversi progetti, dal real estate (Attico.it, Immobilmente.com, Immobiliare.com) al settore food (Rigoni di Asiago, Brunelli, etc).

 

L’ultimo social post?
Un articolo in cui spiego come Tout.com potrebbe avere successo anche in Italia, così come è avvenuto con Twitter e in considerazione del fatto che le dinamiche delle due piattaforme sono per certi versi similari.

L’ultimo video che hai visto su Youtube?
“Mais Qu’est Ce Qu’il Fait Froid” di Erikablu, una cantante emergente che sto iniziando a spingere sui social e che spero potrà presto avere il successo che merita, perché è molto brava.

Mac, Windows o Linux?
Windows dalla nascita, ma simpatizzante Linux.

L’ultimo acquisto online?
Un bel paio di occhiali da sole, visto che andiamo verso la bella stagione. Li ho presi su Etsy.com, che preferisco di gran lunga ad eBay insieme ad una piattaforma poco conosciuta dalle nostre parti, ma molto ben fatta e che più di Pinterest (cui assomiglia) potrebbe divenire un vero protagonista del social commerce.

Un libro che ha segnato la tua vita?
Cent’anni di solitudine, di Marquez, che reputo il più grande genio della letteratura del ‘900. Confesso che ho un romanzo nel cassetto da diversi anni, ma ogni volta che penso a Marquez mi vergogno anche solo a pensare di pubblicarlo.

GagliardiniQual è stato il progetto lavorativo che più ti ha segnato?
In negativo la ristorazione. Nei 5 anni in cui ho fatto l’oste ho scoperto che dietro questo mondo c’è molto più marcio di quanto si possa immaginare e che il margine per lavorare in modo pulito è davvero molto scarso. Le piccole realtà che riescono a stare in piedi senza scendere a compromessi sono quelle a carattere familiare, in cui l’unione parentale a volte riesce a fare la differenza.

Quando hai deciso di diventare un esperto di social media e di marketing?
Dopo le Olimpiadi Invernali di Torino 2006 ho capito che il web e i social potevano rappresentare un canale di fondamentale importanza per le aziende e che sviluppare competenze in questo settore mi avrebbe garantito un futuro professionale interessante. All’epoca vivevo e lavoravo in montagna e il web era per me uno sbocco importante in tutti i sensi. Per oltre un anno il nostro piccolo B&B ha fatto da ufficio prenotazioni per molte strutture, grazie all’abbondanza di contatti provenienti dal web, da tutto il mondo e senza investimenti significativi. La strada era quella, bastava crederci e io l’ho fatto!

Nella tua carriera, ha contato più lo studio (da autodidatta o scolastico-professionale) o l’esperienza pratica?
Lo studio e la pratica vanno a braccetto in questo tipo di professioni. Si studia ogni giorno e costantemente si mette in pratica, non c’è spazio per altre strategie. Ovviamente quasi tutto lo studio è da autodidatta e sul campo, ma per proporre ai clienti piattaforme e strategie non si può contare solo se stessi, senza guardare cosa fanno gli altri.

Il primo colloquio non si scorda mai: hai qualche curiosità da raccontare?
Forse non si tratta del primo in assoluto, ma mi ricordo che ero giovane e che ho pensato che si trattasse di uno scherzo, dopo quasi un’ora che la porta della stanza in cui ero stato condotto per svolgere un test da 15/20 minuti al massimo non si apriva e nessuno rispondeva ai miei richiami. Si trattava di un noto gruppo bancario, che cercava home bankers e la loro giustificazione fu che qualcuno doveva essersi sbagliato e che non mi avevano sentito. Mi hanno “stalkato” per settimane, dopo il mio rifiuto ad accettare il posto.

Hai avuto durante la tua carriera professionale un incontro particolare?
Di gente ne conosci tanta, in questo settore. Uno degli incontri più interessanti l’ho fatto ultimamente in Emilia. Lui si chiama Igor Spinella, è un ingegnere meccatronico, ex ricercatore universitario e ha fondato l’azienda Feligan nel 2009. E’ stato premiato dall’Europa e dall’Italia come talento creativo e a soli 29 anni ha già molti brevetti e pubblicazioni su riviste scientifiche internazionali. Attualmente sta commercializzando un multicharger estremamente valido, che si chiama PowerBrick, ma mi ha parlato di progetti clamorosi in attesa di finanziamento, con tecnologie che potrebbero davvero migliorare la vita delle persone.

E un’intuizione vincente?
Quella di credere in Twitter come un social che avrebbe sfondato anche in Italia. Ora ho la stessa sensazione anche con Google Plus, ma per Big G ho un debole e quindi potrei non essere del tutto lucido in questa previsione.

Cosa consigli ai giovani che vogliono diventare web marketing specialist?
Consiglio di fare tutto il percorso, senza saltare nessuna tappa. Solide basi di studio, il più possibile ad ampio respiro, approccio da utente a tutte le piattaforme e a tutte le tecnologie, occhi ben aperti sul futuro e grande frequentazione dei blog internazionali. Essere sul web significa saper annusare l’aria, essere early adopter di tutte le tecnologie e tendenze e forte propensione all’ubiquità e alla multicanalità. Non si deve dimenticare, però, che la dimensione “reale” ha tuttora molta più importanza di quella virtuale, quindi c’è anche da “sbattersi” in giro per eventi, meeting, happening e molto altro.

Internet ha cambiato il mondo del lavoro in Italia. Come?
Internet ha rivoluzionato il mondo del lavoro, ma purtroppo non ancora la mentalità e l’approccio di aziende e imprenditori, nel nostro paese. C’è molto da fare in questa direzione. Temo che si dovranno attendere sviluppi tecnologici come quello legato alla realtà aumentata, ad esempio, per vedere dei cambiamenti veri ed epocali.

Serve un sindacato dei Networkers? Se sì, come te lo immagini?
Sì, ma tenderei a non chiamarlo sindacato. Credo che a questo mondo occorra una sana attività di lobbing, ma non si potrà mai farla se non ci si coordina prima sugli obiettivi da perseguire. In questo senso di sicuro occorre un’attività e un organismo di coordinamento, ma non lo chiamerei sindacato. Non siamo una categoria, ma piuttosto una nazione. Se lo chiamassimo semplicemente Network?

GagliardiniDescrivi la tua professione in modo chiaro e diretto in modo che anche mia nonna possa capirla.
Ciao nonna, io aiuto aziende e professionisti a promuovere i propri prodotti e servizi sul web e su tutti i suoi canali. Studio la rete e le sue tendenze, cerco di capire dove sta andando il mondo della comunicazione e del marketing e studio strategie per le aziende che si affidano alle mie consulenze. Faccio anche formazione e organizzo eventi, perché è importante conoscere la gente da vicino, oltre che su internet. Poi la sera torno a casa e mi faccio una bella lasagna.

L’organizzazione ‘classica’ del lavoro (orari rigidi e cartellino da timbrare) ha senso per un networker?
Temo che non abbia più senso per nessuna categoria professionali, figuriamoci per chi fa il nostro lavoro. Spesso mi definisco un cloud worker, perché proprio come le nuvole mi sposto in rete e sul territorio e piovo dove ce n’è bisogno.

Quanti sono i tuoi amici sui socialnetwork, quanti di questi conosci davvero e quanti frequenti anche “off-line”?
Siamo nell’ordine di qualche migliaio di persone. A parte il caso Twitter, dove nel tempo ho collezionato oltre 20 mila follower, su Facebook tra profilo personale e pagine siamo intorno ai 15 mila contatti, quasi 4 mila su Google Plus e molte altre migliaia in giro, tra social e piattaforme di vario genere. Credo di conoscerne di persona almeno il 10% e virtualmente oltre il 40%.

Prima di incontrare qualcuno che non conosci fai una ricerca su Google?
Sempre, ma anche su Facebook, Twitter e Linkedin. Mi serve per capire con chi avrò a che fare e come dovrò approcciarlo. Ovviamente dal vivo è quasi sempre un’altra cosa, ma questo fa parte del gioco.

 

di Mario Grasso