Sentenza Foodora: autonomia formale o (e) sostanziale?

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Sentenza Foodora: autonomia formale o (e) sostanziale?

Il 7 maggio 2018 sono state depositate le motivazioni sulla sentenza Foodora, fortemente attese, alla base della decisione del tribunale di Torino di negare la natura subordinata delle prestazioni di consegna a domicilio rese dai ciclo-fattorini (riders) della società DS XXXVI ITALY S.r.l. (Foodora).

La rilevanza (anche mediatica) della  vicenda è apparsa subito evidente, catalizzando l’attenzione di addetti ai lavori e non, principalmente per due ordini di ragioni.

Dal punto di vista socioculturale l’attività della magistratura era vagliata con attenzione dalla “mai doma fronda” politico/civile che, a torto o a ragione, denuncia la costante e progressiva erosione del sistema dei diritti dei lavoratori (storicamente poco flessibile in Italia) ad opera della globalizzazione incontrollata e del progresso tecnologico, determinando così la diffusa precarizzazione dei rapporti e l’assenza di tutele idonee.

Da un punto di vista “tecnico” invece, l’importanza della sentenza stava tutta nell’essere la prima in Italia a occuparsi delle prestazioni di lavoro rese all’interno di modelli economici/organizzativi cosiddetta gig economy ossia, nel caso di specie, dove l’attività viene svolta conseguentemente al matching fra domanda (cibo a domicilio) e offerta (disponibilità dei riders) effettuato tramite App.

Come anticipato il giudice torinese ricusa la natura subordinata del rapporto avvallando così la scelta aziendale di regolare la prestazione lavorativa (consegna in bicicletta di “pietanze” a domicilio ordinate dagli utenti/clienti dell’azienda via internet) attraverso una collaborazione coordinata e continuativa, di fatto una tipologia contrattuale autonoma con le sole tutele previste dalle parti nell’accordo.

La decisione di merito poggia (principalmente) il proprio convincimento sull’assioma giurisprudenziale che rinviene la subordinazione in presenza della soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore.

Il difetto della predetta conditio sine qua non viene dunque acclarato attraverso una sorta di sillogismo giuridico fondato sull’assenza dell’obbligo di prestare attività e secondo il quale “…i ricorrenti potevano dare la propria disponibilità per uno dei turni indicati da Foodora, ma non erano obbligati a farlo…se il datore di lavoro non può pretendere dal lavoratore lo svolgimento della prestazione lavorativa non può neppure esercitare il potere direttivo e organizzativo…la “non obbligatorietà” della prestazione lavorativa escludeva in radice la subordinazione”.

In fin dei conti, comunque la si intenda, la decisione raggiunta in primo grado non consente ad alcuno di stracciarsi le vesti in quanto “delle due l’una”, mentre a stupire (e rammaricare) davvero è l’assenza di riflessioni difformi ex post.

L’accodarsi del fiore dei giuslavoristi alla semplificazione anzidetta, operata in ragione della incontestata autonomia formale, non rende merito (giustizia?) alla complessità della questione che indagata nella sostanza, residua certamente più d’una perplessità.

E allora nell’attuale congiuntura economica/sociale italiana, dove i più coinvolti dal fenomeno gig economy sono i giovani che faticano a introdursi nel mondo del lavoro e i meno giovani espulsi da esso con necessità assoluta di “entrate” per il sostentamento familiare, è autonoma (e libera) quella scelta di mettere a disposizione il proprio tempo e accettare l’incarico in qualsiasi momento?

Se l’obbligatorietà della prestazione passa anche dall’esercizio del potere disciplinare che sanziona l’assenza è vero che l’azienda non lo esercita qualora, come dichiarato dai testi, la stessa predispone una classifica per premiare (affidare incarichi?) i più meritevoli (i più disponibili?)?

È davvero libera (e autonoma) la scelta di lavoratori che secondo le testimonianze:

  1. possono (o devono?) chiamare il centralino e spiegare il motivo per cui non possono fare l’ordine o che è direttamente il dispatcher a contattare per sapere perché non ha accettato l’ordine?
  2. possono revocare la propria disponibilità mediante la funzione swap solo fino a inizio del turno?
  3. dopo essersi prenotati per un turno, ma prima che inizi, per togliere la propria disponibilità, devono utilizzare la funzione swap inoltrare una richiesta, aspettare una risposta che arrivava via email, pena l’essere richiamati dal sistema ed eventualmente esclusi dal turno?

La natura complessa e inedita della questione non merita forse di essere valutata alla stregua del contrapposto principio giurisprudenziale dedicato alle prestazioni elementari, ripetitive e predeterminata nelle sue modalità  di esecuzione dove, ricorda la Cassazione, “..l’assoggettamento del prestatore all’esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare può non risultare…significativo per la qualificazione del rapporto… ed occorre allora far ricorso a criteri distintivi sussidiari, quali la continuità e la durata del rapporto, le modalità di erogazione del compenso, la regolamentazione dell’orario di lavoro, la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale e la sussistenza di un effettivo potere di autoorganizzazione in capo al prestatore”?

Non sarebbe forse opportuna (e dovuta)  una ricognizione del caso effettuata in questi termini, considerato che nel nostro ordinamento il concetto di poter offrire o meno diponibilità alla prestazione fa già parte di un contratto di lavoro subordinato (vedi lavoro intermittente)?

In conclusione, al netto della necessità di definire un set of protection adeguato, indipendente dalle aleatorie qualificazioni operate caso per caso dalla magistratura e magari sul solco di un tertium genus già involontariamente “sperimentato” (vedi contratto di prestazione occasionale art. 54-bis D.L. 50 del 2017), liquidare sic et simpliciter una situazione giuridica così attuale e intricata significa, a mio avviso, non rispettare né forma, né sostanza del diritto di alcuno.

Contributo del dott. Federico Avanzi, consulente del lavoro

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